Mentre il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ribadisce che “il governo ha deciso di non procedere” in direzione di una “riduzione delle pensioni superiori a 2mila euro”, come invece ventilato dal presidente dell’Inps Tito Boeri, un rapporto mette in luce che il sistema previdenziale si regge ormai in gran parte grazie al “soccorso” della fiscalità generale. Perché più della metà degli assegni, considerando anche quelli di invalidità, le pensioni sociali, quelle per i superstiti e le integrazioni al minimo, vengono pagati non dalle casse ma, appunto, dall’Erario. Vale a dire che non sono coperte da contributi versati, bensì dalle tasse della totalità dei cittadini. Per un ammontare di quasi 90 miliardi di euro, il 5,77% del Pil. A ricevere queste prestazioni assistenziali è il 52,2% dei pensionati, pari 8,55 milioni di persone su 16,39 milioni di beneficiari di trattamenti previdenziali. Trattamenti che in tutto sono 23,3 milioni, uno ogni 2,57 abitanti, perché molti ne percepiscono più di uno. L’intera platea paga ogni anno, tra Irpef e addizionali comunali e regionali, imposte per 43 miliardi di euro.

Lo scenario emerge dal rapporto sul sistema previdenziale italiano presentato da Itinerari previdenziali. Oltre 3,6 milioni di persone, calcola il documento, beneficiano delle integrazioni al minimo e oltre un milione hanno maggiorazioni sociali, mentre 835.669 sono i percettori di pensioni sociali, riservate a coloro che non sono riusciti a versare almeno 15 anni di contribuzione regolare.

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L’altro dato rilevante è che, a fronte di una spesa pensionistica complessiva (dato 2013) di 214,56 miliardi di euro, in crescita dell’1,62% rispetto all’anno prima, il disavanzo complessivo di gestione è stato di 25,36 miliardi soprattutto a causa del “buco” dell’ex Inpdap (dipendenti pubblici), della gestione ex Ferrovie dello Stato (-4,2 miliardi) e di quella dei lavoratori agricoli autonomi, il cui disavanzo tra contributi e prestazioni ammonta a 3 miliardi. A dare un forte contributo positivo sono invece la gestione dei lavoratori parasubordinati (+6,7 miliardi nel 2013), delle Casse dei liberi professionisti (+3,3 miliardi), dei commercianti (380 milioni) e dei lavoratori dello spettacolo (ex Enpals) con 320 milioni. Senza questo apporto il disavanzo complessivo di sistema sarebbe stato di 36,2 miliardi. Il “notevole peggioramento dei conti”, si legge nel rapporto, “ci riporta ai saldi del 1995”. Una situazione causata in larga parte dall’impatto occupazionale negativo prodotto dalla crisi, che ha causato una riduzione del numero dei lavoratori attivi con conseguente rallentamento delle entrate contributive, e dall’aumento dell’importo nominale medio delle pensioni.

Le pensioni più alte, secondo il rapporto, sono quelle dei notai, con 75.690 euro medi all’anno, seguiti dai giornalisti con 57.510 euro, dai dirigenti di azienda con 49.920 e dal personale di volo (prevalentemente Alitalia) con una media di 46.950 euro. Da segnalare infine il costante calo del numero delle pensioni di invalidità che, dopo essere scese sotto il 10% del totale delle prestazioni nel biennio 2009-2010, sono ora al 6,2%.

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