Non ditelo a Matteo Salvini, ma al porto della Valletta, a Malta, fervono gli ultimi preparativi prima della partenza della Phoenix verso il Canale di Sicilia. Con un obiettivo: salvare la vita ai migranti che decidono di tentare la traversata verso l’Europa. E’ la Moas, Migrant Offshore Aid Station, prima, e per il momento unica, missione privata di ricerca e soccorso in alto mare, frutto dell’iniziativa degli imprenditori Regina e Christopher Catrambone.

Così, mentre il leader della Lega Nord minaccia di occupare gli alberghi che il Viminale ha chiesto di destinare all’ondata di profughi in arrivo, la fondazione guidata dalla coppia di milionari filantropi è pronta a ripetere e ampliare la missione dell’anno scorso, quando, in soli due mesi di attività, salvò la vita a 3000 naufraghi affiancando le vedette della defunta operazione Mare nostrum.

La missione durerà dal primo maggio al 31 ottobre e le modalità sono molto simili a quelle dell’anno scorso – spiega il direttore delle operazioni Martin Xuereb, ex Capo di Stato maggiore di Malta e marinaio di lunga data – Dalla Phoenix manderemo in aria i nostri droni e in mare i gommoni in modo da affiancare le operazioni della Guardia costiera italiana”. Ma c’è una novità: a bordo dell’ammiraglia ci sarà una clinica completamente equipaggiata, allestita da Medici senza frontiere, per fornire le cure necessarie ai passeggeri delle carrette del mare. “Siamo orgogliosi di questa collaborazione – continua il capitano Xuereb – perché così, insieme al loro personale medico, andremo oltre al primo soccorso, dato che i migranti possono rimanere a bordo anche 36 ore prima di essere sbarcati o trasferiti su altre navi”.

L’organizzazione medico-sanitaria si è già conquistata il nomignolo di “taxi dei clandestini”, ma i suoi vertici non si scompongono e lasciano che siano i fatti a parlare per loro. “Come sostiene l’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati, ndr) in questo momento ci sono 51 milioni di persone in fuga da conflitti o catastrofi ambientali, molti dei quali in Africa”, spiega Loris De Filippi, presidente di Msf Italia. Dati che dimostrano come la tanto invocata deterrenza alla “lasciamo i barconi al largo” (copyright Salvini) non funziona. “Le persone sfidano il mare e la morte pur di scappare da regimi e guerre – continua De Filippi – E per il momento dall’altra parte del Mediterraneo non ci sono governi credibili per provare a gestire l’emergenza in maniera differente”. 

Con i suoi 150mila arrivi, il 2014 è stato l’anno record degli sbarchi sulle nostre coste. Numeri che con ogni probabilità verranno superati questa estate, compreso il carico di morti: 3500 la scorsa stagione, quando c’era Mare nostrum, la missione italiana interrotta a novembre e sostituita dall’europea Triton che però opera molto più lontano dalle coste nordafricane. Tant’è che, secondo i naufraghi sbarcati nei giorni scorsi a Reggio Calabria, davanti alla Libia è colata a picco un’imbarcazione con 400 immigrati a bordo. Se la notizia fosse confermata, sarebbe la strage peggiore della storia del Mediterraneo, ancora più drammatica di quella di Lampedusa nel 2013. “Tutti i salvataggi di questi giorni sono stati fatti dai mezzi della Guardia costiera e della Marina militare italiana e non da Triton”, puntualizza l’ex ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge, oggi eurodeputata del Pse. 

“L’Italia non può essere lasciata da sola e tutti i governi devono mettere le attività di recupero in mare in cima alle rispettive agende perché stiamo assistendo a un’ecatombe – avverte il capitano della Moas – Noi siamo qui per aiutare tutti quelli che vorranno fare qualcosa in questo senso”.

L’anno scorso due mesi di missione costarono la bellezza di 3 milioni di euro, tant’è che, da quando il 31 ottobre 2014 la Phoenix attraccò è partita subito la raccolta fondi. “Al momento abbiamo raccolto le risorse per garantire due mesi di attività, ma la nostra missione durerà sei mesi, quindi la strada è ancora lunga”. Sul sito della Fondazione è aperto il fund raising. “Noi l’anno scorso abbiamo dimostrato che una cosa del genere è fattibile – conclude Xuereb – Quest’anno vogliamo fare ancora meglio: salvare più vite e rendere consapevole la società civile che l’immigrazione non può essere considerata solo un problema di ordine pubblico. Ma non vogliamo imporre, vogliamo ispirare”.

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