Con una botta di trasparenza Infratel mette online i dati sull’Internet veloce. La società del ministero dello Sviluppo economico che ha il compito di sviluppare la banda larga e ultralarga in Italia ha creato una piattaforma che permette di monitorare l’uso di fondi pubblici e i lavori per estendere la banda larga a tutta l’Italia. Il sito inoltre offre una panoramica della situazione generale e così si scopre che l’Italia è al passo con l’Europa solo nella fascia dai 2 ai 20 Mb di velocità di connessione, mentre molto peggio va per i 30 Mb: solo il 22, 3 per cento degli italiani può usufruirne contro il 64% europeo, mentre per i 100 Mb siamo al 2,4% rispetto al 6% del resto del continente. Dati lontani dagli obiettivi fissati dal Piano nazionale del governo secondo il quale entro il 2020 il 100% dei cittadini avrà i 30 Mb e l’85% viaggerà a 100 Mb a condizione che ci siano anche gli investimenti privati.

Infratel certifica poi che solo nella fascia dai 2 ai 20 Mb di velocità di connessione l’Italia è al passo con l’Europa con il 96,9% della popolazione contro il 97% della media continentale. In pratica il 3,1 per cento degli italiani vive ancora in una situazione di totale digital divide: solo la Lombardia ha quasi raggiunto il 100%, in Veneto manca il 4,3, in Molise il 13,4 e in Basilicata l’8,9 per cento. Secondo Infratel sono stati conclusi 109 accordi di programma con le varie regioni che hanno portato al completamento del 53 per cento delle infrastrutture. I risultati variano parecchio da Regione a Regione. In Friuli Venezia Giulia i lavori previsti dall’unico accordo non sono ancora partiti, in Basilicata siamo all’85%, in Calabria al 50% e in Puglia al 29%.

Lo sviluppo dei lavori dipende anche dai tempi di risposta dell’ente pubblico per la concessione dei permessi. Anche qui andiamo a macchia di leopardo con una media nazionale di 136 giorni che diventano 187 in Basilicata, 154 in Veneto e Sicilia dove però nel Comune di Floresta si arriva a 337 giorni di attesa. La Regione più avanzata per lo sviluppo della banda ultralarga è il Lazio con il 38%, mentre Valle d’Aosta e Molise sono a zero.

“Il problema non sono le infrastrutture”, ha detto l’analista e responsabile della società di ricerca “The innovation group” Roberto Masiero, “anche perché per i servizi pubblici essenziali non servono grandi velocità di connessione”. Secondo l’esperto, il dibattito sulle infrastrutture non serve a nessuno e interessa solo i costruttori. “Il peso politico della lobby Ict in Italia è sempre stato pari a zero”. La forza delle aziende dell’Information technology, divise in tante parrocchie, non è paragonabile a quelle del mattone o delle altre infrastrutture. Gli unici che hanno un po’ di forza sono gli operatori di Tlc che premono, ma il vero problema più che la posa della fibra è capire “quanta parte dei processi analogici diventano digitali. Non le infrastrutture, ma lo switch off della Pubblica amministrazione che da analogica deve diventare digitale”.

E la mancanza di questo passaggio, insiste Masiero, è un problema del governo “che non dedica le energie migliori all’agenda digitale che continua ad avere una governance barocca con competenze sovrapposte”. Le dimissioni di Alessandra Poggiani sono l’ultimo atto di una storia che finora ha provocato molte delusioni e che, aggiunge l’analista, ha una sola risposta. “Basta con i funzionari pubblici: c’è bisogno di uno Zar digitale che governi la politica verso le nuove tecnologie”.

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