Ci sono cose che non si possono ignorare. Ad esempio quelle che arrivano agli “uffici” per posta, con la sola dicitura telegramma. Sul bordo il numero di protocollo in ingresso, l’intestazione recita: “Dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie”. La firma è del capo di Gabinetto del ministro Alfano, nonché Capo dipartimento per le politiche del personale, Luciana Lamorgese. Si capisce l’agitazione dell’impiegato e del funzionario di turno nell’aprirlo: sarà mica un reclamo, una nuova disposizione su turni, ferie e quant’altro? La lettura li solleva poi come poche altre cose: niente di tutto questo, per fortuna (loro) è soltanto l’ennesimo telegramma di cordoglio a carico dell’amministrazione.

Ebbene sì, insieme all’auto blu la Casta può usare la macchina pubblica del cordoglio privato. Viaggia con una serie di telegrammi interni all’amministrazione dello Stato che Ilfattoquotidiano.it ha intercettato. Sono quelli che entrano ed escono dal Viminale per annunciare urbi et orbi il “tragico decesso” di un congiunto di chi appartiene (o è mai appartenuto) ai ruoli dell’amministrazione con incarichi dirigenziali. Si va dall’anziana madre del vice prefetto all’ex capo ufficio in pensione, che magari in ufficio non metteva piede da 15 anni e nessuno dei destinatari in servizio conosce. E tuttavia viene prontamente informato della ferale notizia, con tanto di circolare interna trasmessa a tutti gli uffici.

Parliamo di cose private e dolorose, per carità. Ma la prassi dei “telegrammi di cordoglio” è pur sempre a carico delle amministrazioni pubbliche e rivela qualcosa di inedito del fenomeno nazionale che chiamiamo genericamente “Casta”. Racconta che chi ne fa parte, sicuramente per merito, gode di privilegi per tutta la vita e se possibile anche oltre. Il dispaccio post-mortem è la celebrazione liturgica di questo potere esclusivo, a danno di tutti i Fantozzi d’Italia costretti a rendere servile omaggio.

Ricorda infatti quel feroce cavalier Catellani del primo tragico Fantozzi che sferzava i dipendenti al motto “chi non scatta, niente scatti”. Nominato Gran Mastro dell’ufficio Raccomandazioni e Promozioni, “… aveva fatto piazzare nell’atrio della ditta la statua di sua madre Teresa, a cui era molto affezionato, e pretendeva che tutti, entrando e uscendo, le rendessero servile omaggio”. La celebre scena del film, anno 1975, fa ancora sbellicare finché non si scopre che nel pubblico oggi, 40 anni dopo, non è poi tanto diverso.

Dei telegrammi della Casta si apprezzano alcuni particolari ricorrenti. A dicembre 2013, ad esempio, un telegramma annunciava il decesso della madre di un viceprefetto che ha 59 anni. La morte della donna, presumibilmente ottantenne, trova in quelle poche righe “il cordoglio dell’amministrazione tutta”. E per tutta s’intende che il messaggio è stato mandato a due direzioni generali, sei uffici centrali, compreso l’Ispettorato generale. La kafkiana comunicazione raggiunge perfino la “Commissione per la progressione di carriera”. E qui, meglio non farsi domande.

Un altro telegramma avvisa dell’improvvisa scomparsa di un prefetto, classe 1925. Il defunto, non ce ne voglia, aveva 90 anni ed era in pensione dal 1990. Al ministero, giurano, nessuno lo vedeva da 15 anni. E tuttavia del decesso e dei funerali vengono prontamente informati il gabinetto del Ministro, la segreteria, vari sottosegretari di Stato, il Dipartimento per la pubblica Sicurezza, l’Ufficio Innovazione organizzativa e l’Organismo di valutazione delle performance. Quali performance, data la condizione, non si capisce bene e non è scritto.

Altro dispaccio. Stavolta annuncia ai cinque Continenti dell’amministrazione dell’Interno la scomparsa del marito di un vice prefetto aggiunto. Si precisa poi che i destinatari potranno seguire la funzione nella parrocchia tal de tali alle ore 15. Firmato, il “Capo dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile …” etc etc.

I telegrammi della Casta indicano sempre il luogo dove i dipendenti dell’amministrazione potranno andare a porgere l’ultimo saluto. In alcuni casi anche a centinaia di km dalla Capitale tipo a Grosseto, Potenza o Castellamare, quando i destinatari diretti della comunicazione sono in realtà nella sede romana. Non importa. Gli impiegati volenterosi prendano permesso, chiudano lo sportello e si mettano in viaggio. E se mai al ritorno trovassero la statua dell’anziana madre, riverissero.

Per fortuna, verrebbe da dire, non è sempre così. Non è che ogni decesso di parente attivi la macchina della burocrazia che avvisa uffici e dipendenti da Bolzano a Battipaglia. Per chi non ha ruoli dirigenti, infatti, non si muove foglio. Il dolore dell’impiegato comune sembra non contare. E’ successo, ad esempio, che un dipendente di livello medio della stessa amministrazione dell’Interno si sia tolto la vita. Ed è successo che i suoi colleghi, che pure lo conoscevano direttamente, non ne venissero neppure informati. I più l’hanno appreso solo col passaparola giorni dopo il funerale, magari davanti alla macchinetta del caffè. Quel tragico decesso, nell’Italia dei Fantozzi, non vale quanto la tragica perdita “dell’anziana madre” del Superiore. Che noi tutti salutiamo. E riveriamo.

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