Nel corso di un lungo inverno di guerra, Svetlana Broz ha percorso settemilacinquecento chilometri sulle strade gelate della Republika Srpska in cerca di testimonianze. Il suo scopo era quello di trovare, nell’inferno del macello della ex Jugoslavia, persone oneste e generose, le persone di cui nessuno parla mai, eroi anonimi di cui i governi non vogliono sapere nulla. La sua idea è quella che le generazioni future debbano sapere ed essere coscienti che nel mondo sono esistite, esistono, persone di questo genere.

Tornata a Belgrado e una volta concluso il lavoro qualcuno entrò nel suo appartamento e le rubò il materiale. E così la brava autrice, durante l’ultimo autunno della guerra, riprese le strade della Bosnia ed Erzegovina e dopo seimila chilometri raccolse tutto ciò che le serviva e pubblicò il testo.

I giusti nel tempo del male (pubblicato in Italia da Edizioni Erickson, tradotto da Ognjen Tomić, con una presentazione i giustidi Andrea Canevaro) raccoglie lo stesso numero di testimonianze di bosniaci, croati e serbi, intrecciate tra loro così come lo sono state le vite dei cittadini della Bosnia ed Erzegovina.Si tratta di un lavoro straordinario sia per il valore storico che per quello morale: riaffermare che la bontà umana è la base su cui si debba costruire il futuro dei tre gruppi etnici che vivono quella terra martoriata.

Nei primi anni Novanta nessuno in Jugoslavia immaginava cosa sarebbe successo. Nelle città e nelle campagne, la gente viveva una vita normale, non molto diversa che nel resto d’Europa, che nella nostra vicina Italia. Ma il male arrivò presto, come una tempesta terribile, e sconvolse la vita di tutti e nulla fu più come prima. In pochi lo videro annunciarsi nella montante propaganda nazionalista, nel repentino ricambio dei quadri dirigenziali di fabbriche e organizzazioni, nei primi screzi diplomatici fra regioni e gruppi etnici. La maggior parte della gente comune vi si trovò catapultata, come in un brutto sogno da cui, ormai, non era più possibile svegliarsi. Chi fu responsabile di tutto questo? Delle distruzioni, dei saccheggi, della violenza più atroce, degli stupri e delle torture, della fame, del freddo, delle umiliazioni? All’improvviso accadde, fu la notte della ragione, il ritorno ad Auschwitz, la morte di Dio e la morte dell’uomo. Come fu possibile? Come poté accadere così vicino a tutti noi?

Di fronte alla tragedia della guerra, Svetlana Broz però vuole parlarci di speranza, dei giusti nel tempo del male, di tutte quelle persone, donne, uomini, ragazzi, che seppero dire no nel momento in cui questo era più difficile e scomodo, a costo della propria stessa vita. Gente comune con un cuore straordinario, eroi veri di una storia vera. Grazie alle testimonianze di questo libro ci saranno d’esempio, indicando la strada, come luci nella notte del dolore. Un libro per ribadire che nelle piccole questioni della vita come nelle grandi vicende della storia l’indifferenza dei molti è più pericolosa della crudeltà dei pochi.

Svetlana Broz, nipote di Josip Broz Tito, è medico dal 1980. Dopo lo scoppio della guerra in Jugoslavia ha deciso di rendersi utile lavorando come cardiochirurgo di guerra. In tale veste ha raccolto centinaia di testimonianze di persone che hanno ricevuto o dato aiuto a persone di altre etnie. Ha quindi sviluppato una vasta conoscenza scientifica e umana del fenomeno dei giusti che si oppongono al male estremo (genocidio, pulizia etnica), conoscenza che si è andata rafforzando in seguito alla lettura dei libri di Gabriele Nissim, con il quale collabora.

Oggi Svetlana Broz vive e opera a Sarajevo, città simbolo degli orrori della pulizia etnica. Si batte perché vi fosse istituito un Giardino dei Giusti e dirige la Ong Gardens of the Righteous Worldwide – Gariwo Sarajevo. Tra le molte sue attività, Svetlana Broz insegna ai giovani il coraggio civile attraverso specifici programmi formativi come quelli tenuti in tutta la Bosnia. Tra questi quelli di Duško Kondor, un membro di Gariwo – Sarajevo assassinato a Bijeljina il 22 febbraio 2007, pochi giorni prima di testimoniare a un processo per crimini contro l’umanità.

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