Alle 9 di sera del 12 aprile Hillary Clinton ha lanciato la sfida alla presidenza degli Stati Uniti.

Qualche ora prima, sulla sponda repubblicana, Jeb Bush, fratello dell’ex presidente repubblicano George W. Bush, con un sincronismo da ambizioni presidenziali, ha diffuso un video via web, dove mette in discussione gli assetti della politica estera di Obama e rimarca che l’eccessivo indebitamento in economia impedisce la crescita.

Si accentua l’effetto dinasty sulla contesa presidenziale, dove la carica più ambita si gioca su due ristretti circoli familiari. Già nel 1992 Bill Clinton sconfisse il padre di Jeb, George Bush senior. Nel 2000 George W. Bush junior arrivò alla casa Bianca e nel 2016 il nuovo presidente, con tutta probabilità, uscirà dal confronto tra Jeb Bush e Hillary Clinton.

Che Paese sta lasciando Barack Obama ai suoi successori? Il presidente afroamericano ha condotto gli Stati Uniti fuori dal tunnel della crisi, il Pil e l’occupazione sono in netta ripresa, ma il suo intervento è stato di natura congiunturale, senza intervenire sulla struttura del sistema economico e sociale.

In politica interna il successo più significativo è stata la riforma sanitaria che non riuscì a realizzare Bill Clinton nel 1993. Vent’anni dopo, nel 2013, all’inizio del suo secondo mandato, Obama ha offerto la possibilità a 48 milioni di americani, rimasti esclusi dall’assistenza, di acquistare a basso prezzo un’assicurazione. Un sistema di copertura non pieno e non gratuito, passato dalla strenua opposizione repubblicana, che sta però producendo risultati positivi.

Nel primo mandato è stata varata la riforma finanziaria, tesa a evitare nuove bolle speculative, ma che è stata ritenuta insufficiente dall’economista Paul Krugman e dal primo ispiratore della riforma Paul Volcker. E’ curioso notare che la completa liberalizzazione del settore finanziario è arrivata nel 1999 con il Financial Services Modernization Act, durante l’amministrazione Clinton, annullando quasi interamente i controlli sulle banche sanciti del roosveltiano Glass Steagall Act del 1933.

L’eredità potenzialmente più importante Obama la lascia in politica estera.

Nell’ultima settimana sono state poste le premesse per riaprire le relazioni con Cuba, una vecchia ferita statunitense lasciata dalla guerra fredda che solo ora sembra rimarginarsi. Sarà così tolto l’embargo a Cuba, un provvedimento accolto favorevolmente, nei sondaggi del dicembre 2014, dall’influente comunità dei fuoriusciti cubani (pur con un ristretto margine), e, in misura più netta, dall’opinione pubblica statunitense. In termini economici un accordo sarà conveniente per entrambi. Dal punto di vista politico, la normalizzazione dei rapporti con Cuba toglierà agli altri Paesi latino americani un argomento classico della propaganda populista che ha dipinto – non proprio a torto – gli Stati Uniti come gli affamatori di Cuba.

Più in generale, il somos todos americanos pronunciato proprio in spagnolo dal presidente Obama lo scorso dicembre prospetta un nuovo sistema di relazioni con il Sud America e, soprattutto, un più marcato punto di interesse (Stati Uniti più americani e meno mondiali?) su quest’area, da costruire con gli altri Paesi su nuove basi.

Sul versante mediorientale, netto è stato il pronunciamento del presidente a favore di uno Stato palestinese, facendo capire agli israeliani che gli Usa non sarebbero stati sempre e comunque dalla loro parte, aspetto che ha reso non idilliaci i rapporti con il leader Netanyahu.

Il presidente ha riannodato, in forma ancora parziale, le relazioni con l’Iran. L’intesa sul nucleare con Teheran dovrebbe essere firmata il 30 giugno, dopo di che gli Usa potrebbero togliere l’embargo all’Iran. Assieme a Cuba, dovrebbe essere così chiusa un’altra ferita rimasta a lungo aperta. Per gli americani, l’accordo raggiunto eviterà l’ipotesi di una bomba nucleare iraniana, garantendo al contempo la sicurezza di Israele, a sua volta per nulla convinta dall’accordo. L’Iran è ritenuto dalla Casa Bianca uno Stato strategico per il contenimento dello jihadismo sunnita armato.

Medio Oriente e Russia restano due situazioni insolute sulle quali Obama ha comunque prediletto la diplomazia alle armi. Sono due punti deboli sui quali si sono già concentrati, con successo, gli attacchi repubblicani nelle elezioni di midterm del 2014.

Hillary Clinton, se sarà presidente, erediterà l’effetto positivo delle nuove strade aperte da Obama, ma dovrà anche misurarsi con i più evidenti limiti dell’influenza statunitense sul mondo.

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