Quello di Chi l’ha visto?, progenitore (1989) di una numerosa prole di programmi che raccontano e analizzano scomparse, delitti ed efferatezze che possono capitare a chiunque, è il genere-cardine della tv generalista. Di quella tv, cioè, che vive e ha senso solo se è spalmata sul tempo reale e la cui convenzione di racconto sia strutturalmente fondata sull’andamento periodico del palinsesto.

Come tutta la tv che gli somiglia, Chi l’ha visto? e i suoi simili non sono semplicemente “attualità”, ma costante decostruzione e ricostruzione di senso. Settimana per settimana, giorno per giorno, momento per momento.

Considerando le cose in questo modo, e cioè della costruzione di senso lungo un divenire, Chi l’ha visto? è più generalista dello stesso varietà serale, che pure cerca di piacere un po’ a tutti, sussumendo il genere della “festa in piazza”, dove per definizione ci si ritrova a contatto di gomito fra persone normalmente estranee. Per non dire del confronto con docufiction e telefilm seriali (sostanza delle tv tematiche, che, pur variamente e abilmente impegnati ad analizzare delitti e misteri, soddisfano i feticisti del genere, ma non procurano il fiotto adrenalico del “qui ed ora”.

Peraltro, se dovessimo indicare in cosa consista il vero, originario, elemento di format di Chi l’ha visto? non indicheremmo la caccia agli scomparsi, ma la penetrazione nell’animo degli sconvolti a causa dalla scomparsa medesima. È questo, ci pare, che fa scattare nello spettatore il meccanismo dell’empatia unito, a quello del sentirsi in salvo, come nel classico esempio di colui (o “colei”, considerata la dominanza femminile del pubblico) che da un promontorio osserva trepido un naufragio.

Poggiando i piedi su un terreno così solido, gli autori del programma hanno ben presto potuto arrischiarsi, senza snaturarlo, ad allargarne i confini di contenuto. Così, al “chi l’ha visto?” si è aggiunto il “chi è stato?”, ma soprattutto, il “come si spiega?”. E ai delitti privati hanno potuto accostarsi, senza che la vicinanza stridesse, anche quelli “politici”.

Noi, che in quanto individuali spettatori, rifuggiamo dai programmi di cronaca e preferiamo la compagnia degli sceneggiatori e registi delle fiction oppure il teatro dei burattini dei talk show politici, riusciamo solo saltuariamente e per caso a gettare un’occhiata su “Chi l’ha visto”, di cui peraltro osservammo il parto e aiutammo i primi sgambettii. Ma ci pare di aver intravisto proprio di recente una particolare e nuova “leggerezza” narrativa che stempera l’elemento “tragico” a favore di quello “analitico”. Come se in redazione si fosse deciso di corrispondere ai sentimenti dello spettatore più dandogli l’emozione di comprendere (e cioè di costruire senso) che attizzandogli quella dell’inorridire, che scatta quando pare dileguarsi ogni senso del mondo, da quello degli gli affari fino a quello degli affetti.

Sarà che ci ha colpito ieri sera verso le 23 osservare l’inviata del programma scatenata alla ricerca dei cagnolini perduti da Sciascia. Il clochard slavo picchiato da nostrani emuli di Arancia Meccanica. Le classiche “due righe in cronaca” che la narrazione ha fatto diventare “scoperta di mondi”, nello sguardo del clochard, nella vincente bruttezza dei suoi compagni bastardini, nella “normalità” dei parenti rintracciati e messi in comunicazione (“ti perdoniamo”) grazie a una cospicua carrambata. In concomitanza, e nonostante l’ora ormai tarda, gli spettatori hanno cominciato a trattenersi più del solito portando il dato medio di ascolto oltre i 3 milioni.

Tanto per ricordarci che in tv non esiste nulla di irrilevante, a mano che non sia insignificante, proprio come nella vita corrente.

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