Ascoltavo con interesse un servizio in cui la giornalista Barbara Carfagna sostiene che potremmo considerare il mar Mediterraneo il primo Internet della storia.

Sulle sue sponde e sulle sue rotte, si osserva, si sono sviluppati i tratti salienti del web, ma tanti secoli prima: la connessione, la condivisione, lo scambio. Su questo mare, con queste premesse, si affacciò la prima democrazia della storia, quella di Atene. È dunque legittimo domandarsi quali risvolti avrà la “rivoluzione dell’informazione” che, secondo i filosofi di Oxford, ripropone l’uomo nel ruolo di animale informazionale inserito nel contesto dell’infosfera.

I Romani, per esempio, avevano inteso bene che per civilizzare un luogo occorresse infrastrutturarlo, come ricorda la costruzione della via Appia (IV sec. a.C), la regina viarum che collegava Roma col porto di Brindisi, il Mediterraneo, e tutto quel che esso rappresentava. La raggiungibilità di un luogo, in qualche modo, ne costituisce la possibilità di esistere nel mondo, di essere, di farsi centro, riducendo le distanze.

Nel considerare i potenziali risvolti di questo scenario, ho ricordato di aver letto delle pagine molto interessanti di Mai più terroni, in cui Pino Aprile osservava che il cambiamento indotto dalla Rete nella vita dell’uomo ha ed avrà sempre più il merito di cambiare “anche il Sud e il suo destino”. Perché “il web è viaggiare senza percorrere spazi; scompare, così, lo svantaggio di ferrovie mai fatte e treni soppressi, di autostrade e aeroporti mancanti. Il Sud, in questo, è, da un momento all’altro, alla pari”.

Sul web spariscono, d’un tratto, le distanze e i tempi necessari a percorrerle. I nuovi emigrati, nella rete, hanno la possibilità di tenere annodati i fili ideali che li tengono in contatto col luogo da cui provengono, hanno a disposizione una tecnologia che consente di annullare tempo e lontananza. “Si va dal paese all’ovunque, come se si attraversasse la strada”.

Se, d’altro canto “Quando i Romani volevano punire un territorio, tenerlo in stato di subordinazione, non lo attraversavano con le loro strade. […] La Rete distrugge quest’arma, rendendola inutile. La spada del potere coloniale si è spezzata”. In Rete, si è o non si è. Si annullano le differenze di potenziale instauratesi tra i detentori dell’informazione e i loro possibili fruitori. Ogni tentativo di arginare questo “sharing” cade nel vuoto, inevitabilmente.

Sul web viaggiano veloci come la luce le informazioni prima ancora che si sia in grado di impacchettarle e farne prodotto politico-commerciale, più o meno addomesticato. La democrazia si arricchisce di strumenti nuovi e così le modalità con cui si giunge a conoscenza del passato del proprio territorio. Osservo con grande interesse la voracità con cui i giovani del Sud stanno cominciando a pretendere di leggere senza veli le pagine di storia che spiegano come mai il loro territorio sia stato oggetto di violenza, incuria, cementificazione selvaggia. Alle menti aperte di queste sentinelle è affidato il futuro della terra che amo. Anche a partire dagli stimoli provenienti dalla Rete. Sono talmente numerosi i cortocircuiti innescati che i derivanti flussi di conoscenza sono gradevolmente inarrestabili. Non posso non citare le parole di Guido Dorso, colme di commossa speranza: “Certo il cammino è lungo e pieno di ostacoli, ma sembra che sia già affiorata una generazione capace di spezzare gli ultimi ceppi del feudalismo. Incomincia anche per il Mezzogiorno l’evo moderno”.

Sul web, nuovo Mediterraneo, finirà la questione meridionale.

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