Se quando si propose a Roma si lamentarono tutt*, ciascuno per varie ragioni, vorrò vedere come reagiranno a Milano quando si diffonderà la notizia di una proposta di zoning in occasione dell’Expo. Chi ha pensato a questa soluzione, Radicali con la consulenza del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, sa che arriveranno circa 20 milioni di persone, ma arriveranno anche 15mila di sex workers, lavoratori e lavoratrici del sesso. Così dichiara Yuri Guaiana, consigliere radicale nella Zona 2. E aggiunge: “l’unico modo per governare il fenomeno contemperando i legittimi interessi di residenti, clienti, lavoratrici e lavoratori del sesso è quello della zonizzazione: delimitare cioè alcune aree (soprattutto quelle ad alta urbanizzazione e molto conflittuali) come spazi “off limits” sia per la contrattazione sia per lo scambio e al contempo individuare zone informali di attività dove poter far incontrare clienti, lavoratrici e lavoratori del sesso in condizioni di dignità e sicurezza creando il minor conflitto possibile con la cittadinanza”.
Nella mozione che ha presentato si chiede “l’attivazione, in via sperimentale, di uno spazio informativo e di orientamento a bassa soglia presso la stazione centrale come nodo strategico per tutto il territorio”.
Non solo le “forze dell’ordine e amministrazione pubblica, ma anche le unità di strada, che da tempo operano a Milano e conoscono il fenomeno del lavoro sessuale, i clienti, le lavoratrici e i lavoratori del sesso devono essere pienamente coinvolti in tutte le fasi dell’intervento per garantire a pieno i diritti di tutti”.
L’obiettivo perciò è quello di limitare il conflitto sociale, garantire una situazione di maggiore sicurezza, evitando anche che i/le sex workers siano esposti al rischio di gravi incidenti, e anche di controllo in relazione alle questioni igienico/sanitarie.
Quando si parlò della proposta di zoning a Roma a opporsi furono abolizioniste e gente dell’area politica conservatrice, d’accordo, come sempre, sull’idea che le donne non sappiano scegliere e che da brave imbecilli vanno salvate e poi avviate ad un percorso di redenzione. Le argomentazioni erano di un’ipocrisia irripetibile. Al solito c’è chi non si assume la responsabilità di quel che avviene o perché ritiene che boicottando questo fenomeno finisca o perché immagina di stare compiendo una crociata che non guarda in faccia niente e nessuno. Chi invece ha ben chiaro come questo fenomeno vada gestito, innanzitutto a partire dall’opinione che le stesse sex workers esprimono, viene trattat@ come la peste.
Le argomentazioni più quotate, in opposizione allo zoning, sono più o meno queste:
– poverine, come potete mettere le prostitute in un ghetto? E le zone rosse invece non sono un ghetto se sono perfettamente controllate e gestite, a garanzia della salute stessa delle sex workers e della loro sicurezza. Da chiedere a chi fornisce questa argomentazione come mai nulla dicono o fanno quando i sindaci relegano le prostitute in veri ghetti, con ordinanze pro/decoro e sanzioni ai clienti e alle stesse prostitute. Con le ordinanze i sindaci sono riusciti a ottenere la cacciata delle prostitute dalle strade delle città relegandole nelle periferie più buie, in balia di sfruttatori e clienti violenti e senza la possibilità di avere garanzie per la loro igiene.
– poverine, sono tutte quante sfruttate e quindi non ci sono vie di mezzo, bisogna salvarle tutte. Da lì, probabilmente, l’idea più plausibile di rastrellare e deportare i lavoratori e le lavoratrici del sesso conducendoli ciascuno in diversi luoghi di destinazione. Stranieri e straniere potranno godere della gentile ospitalità del Cie (centri di identificazione ed espulsione) e chiunque altr@ sarà consegnat@ al primo prete di passaggio che provvederà a redimere quelle anime impure. L’idea di massima è dunque che sarebbero tutte vittime di tratta e invece che gestire il fenomeno garantendo una possibilità di lavoro ai/alle sex workers si preferisce lasciarlo a se stesso e gestirlo eventualmente come un problema di ordine pubblico.
– poverine, i clienti sono tutti dei gran maiali e bisognerebbe intercettarli e arrestarli tutti. E invece, guardacaso, in ogni luogo in cui si discute della penalizzazione dei clienti i lavoratori e le lavoratrici del sesso ripetono fino allo sfinimento che quello non solo è il modo per togliergli il lavoro, ma è anche il modo per obbligarle a giocare al ribasso, pur di lavorare e guadagnare qualcosa, in condizioni di minima sicurezza, di maggiore marginalità e clandestinità, perché dove vige una proibizione i fenomeni non smettono. Casomai si consegna la loro gestione alla criminalità organizzata.
Chi ha dunque una proposta diversa per gestire questa situazione? Chi mai potrà immaginare di fermare un fiume in piena? E come si potrà evitare che i lavoratori e le lavoratrici del sesso arrivino per guadagnare un po’ di soldi? Perché ecco come vi vedranno, a voi che dite di volerle salvare e invece le mettete in grande difficoltà e richiamate all’uso della repressione per stabilire la giustezza del vostro punto di vista, vi vedranno come persone che impediscono loro di lavorare, come se toglieste il pane di bocca a tanta gente che vuole lavorare e guadagnare onestamente, perché, e ricordiamolo, in Italia la prostituzione è perfettamente legale. Quel che non è legale è il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione e lo zoning non risponderebbe a nessuna di queste due ipotesi.
Allora, cosa succederà nella città in cui una commissione è già formata addirittura per censurare i manifesti con corpi scoperti? Saranno le donne a gestire questo fenomeno? Vi si opporranno e basta? Nasconderanno la testa sotto la sabbia in attesa che l’Expo passi? Vincerà la sessuofobia, la puttanofobia, l’atteggiamento inquisitorio delle femministe abolizioniste? Cosa farete? Cosa faremo?
Ps: ogni volta che scrivo un post dedicato ai/alle sex workers arriva puntuale la contestazione rispetto all’uso di questo termine. Ecco un documento del 1997 in cui spiegano perché preferiscono essere chiamat* lavoratori e lavoratrici del sesso. Dunque, sex workers.