Zitta zitta la Rai nel corso dell’ultima gestione sta togliendo, o sta collaborando a togliere dal fuoco, parecchie annose castagne. La svolta c’è stata a metà del 2014, quando la furia renziana si è abbattuta su due questioni che fino ad allora parevano intoccabili.

Prima questione: le torri, che erano di proprietà esclusiva della Rai, rientrano nel modello di “integrazione verticale”, che consiste nell’amministrare autarchicamente tutte le fasi del ciclo produzione-distribuzione. Tant’è che lo ritroviamo anche in altri ambiti, come le stesse attività cinematografiche della Rai. Un criterio che viene dritto dritto dalla logica del Duopolio visto che la stessa, parallela, integrazione verticale, esiste in Mediaset, sia per le torri che per il cinema.

Seconda questione: le sedi regionali, la cui obbligatoria esistenza in ogni regione era prescritta da un articolo di legge giustappunto abrogato ad aprile del 2014. Così l’obbligo organizzativo si diluisce in quello editoriale (news locali
“per” tutte le Regioni) realizzabile in mille modi, specie in tempi di internet.

Il crollo di quelle dighe ha spalancato la strada anche alle stagnantissime e quarantennali acque delle Testate Multiple, avviate all’accorpamento in due sole newsroom, col timorosissimo sindacato dei giornalisti che capovolge il no in sì chiedendo un passo risoluto verso la unificazione generale, come ovunque all’estero, del resto.

Nel frattempo, avviata fin dall’inizio del 2013, ha preso corpo anche una mutazione editoriale che potrebbe rivelarsi decisiva per la futura, eventuale esistenza di un “servizio pubblico di mercato” (come l’inglese Channel4). Rai2, la rete dalla identità sempre mancata, oggetto di mille esperimenti di giovanilizzazione sempre falliti, ha cominciato a costruirsi un pubblico, davvero diverso da quello di Rai1, innestando sullo zoccolo duro degli appassionati di telefilm polizieschi una buona dose di programmi di entertainment.

Notavamo giusto ieri la forte componente di giovani che seguono “Made in Sud”, sia pure entro la connotazione meridionale e campana in particolare, di quella platea. Ma assai giovane è anche il pubblico che il giorno successivo ha seguito “The Voice”, e lo stesso capitava con “Pechino Express”. Così la Rai, con una delle sue reti, sembra riuscire ad allungarsi stabilmente su quella parte di pubblico che notoriamente più la snobbava. Al punto che la platea di “The Voice” sembra il calco, cioè l’opposto, di quella della fiction e del varietà più tipici di Rai1. Rai2 infatti richiama chi ha meno di 55 anni e pochissimi sono i più anziani. Il pubblico di Rai1 si trova invece in stragrande maggioranza al di sopra di quella soglia di età.

La connotazione “non anziana”, indica in Rai2 il concorrente più diretto, editorialmente parlando, di Canale5, l’ammiraglia di Mediaset. Un concorrente tanto più efficace, qualora potesse adottare regole simili (numero di spot etc.) perché attira un pubblico mediamente più istruito di quello che preferisce il Biscione. Tanto per dire che, quando i tempi di una riforma sono davvero maturi, anche il passato non riesce a stare fermo ad aspettare il futuro, ma gli va più o meno consapevolmente incontro.

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