Niente più «vocazione». Nella Terza Repubblica la politica è solo un «mestiere», che non richiede «alcuna preparazione» particolare. Tutto a scapito della qualità e della competenza. Come dimostrano, del resto, le cifre: nella legislatura in corso (la XVII) i deputati laureati superano di poco il 68%. Certo, un dato migliore del 64,4% registrato nella XV, ma lontano anni luce dalla prima (1949-1953), quando il 91% degli onorevoli aveva in tasca un titolo accademico. E’ la fotografia impietosa scattata da “I Dilettanti. Splendori e miseria della nuova classe politica” (edito da Guerini e Associati), firmato da uno che li conosce bene, Pino Pisicchio, deputato, presidente del Gruppo Misto della Camera, che passa ai raggi X delle statistiche, la «superelite» parlamentare del terzo millennio.

COMPETENZA, NO GRAZIE Un’indagine, quella sui deputati laureati, che entra anche nel dettaglio dei singoli gruppi parlamentari di Montecitorio. «Il Pd con il 69,02%, i 5 Stelle con il 68,80 e il Pdl, con maggiore slancio, con il 73,46%. Meglio Scelta Civica (76,19), peggio Sel (53%)». Una situazione figlia di «un lento, ineluttabile, progressivo scivolamento verso una diversa concezione della funzione del parlamentare e, più in generale, della politica». Che, abbandonato il ruolo di «pedagogia democratica» teorizzato dai Padri Costituenti ha assunto la funzione «di strumento sostitutivo di un’attività lavorativa». In una parola un «mestiere» appunto. Una metamorfosi di fronte alla quale «non c’è italiano che non percepisca l’irreparabilità dei danni prodotti dall’incrocio perverso tra incompetenza, numerosità (dunque insostenibilità economica), cattiva amministrazione e attraversamento di vicende giudiziarie di un ceto politico che registra i minimi storici di fiducia in un paese che già reca nel suo dna un senso di diffidenza nei confronti di chi ha a che fare con la Cosa Pubblica».

PICCOLI ONOREVOLI CRESCONO Poi ci sono i falsi miti da sfatare. A cominciare da quello dell’età dei parlamentari. Nel corso dell’attuale legislatura «la Camera fa registrare la media più bassa di età dopo il 1948: siamo a 45,8 anni a fronte dei 45,5 della Prima Legislatura». Insomma, nonostante in passato siano stati rappresentati come dei «matusalemme», i deputati italiani hanno oscillato «sempre tra i 45/46 e i 50», costantemente al di sotto dell’asticella dei cinquanta salvo che nelle ultime tre legislature prima dell’attuale: 2001, 51,9 nel 2006 e 50,8 nel 2008. Fatta eccezione per la Danimarca e per i Paesi Bassi, che registrano la media di 44 anni di età per i rappresentanti della Camera bassa, Montecitorio, nella XVII legislatura, «è quasi il giardino d’infanzia del mondo». I più «anziani» sono, invece, i francesi (59 anni di media), seguiti dagli americani (57), e dai finlandesi (52). Intorno alla cinquantina i deputati inglesi («mentre la Camera dei Lord sembrerebbe una succursale di villa Arzilla, con la media di 69 anni»), seguiti dai norvegesi (49) e dagli svedesi (48).

DONNE AL POTERE Progressi significativi anche sul fronte della presenza delle donne sugli scranni parlamentari. «Siamo a 193, pari al 30,63% dell’assemblea di Montecitorio (non male anche al Senato: 27,3%). La Camera è schizzata al 31° posto nel mondo tra le 190 Assemblee Legislative, a ruota di otto paesi africani, otto o nove del nord Europa, un paio dell’America centromeridionale, qualche asiatico e qualche oceanico». Insomma, un bel balzo in avanti «dalle 21 pioniere della Costituente (il 3,77%)», ma anche «dalle legislature più recenti con la regola del collegio uninominale (il cosiddetto Mattarellum), che facevano registrare oscillazioni intorno all’11%». Molto peggio dei tempi del voto di preferenza, come nella X Legislatura, quando «il voto popolare portava alla Camera un’ottantina di onorevoli» donne. Almeno sulle quote, insomma, il Porcellum «non ha fallito».

TRANSUMANZA CONTINUA Un discorso a parte merita poi «il fenomeno, quasi del tutto sconosciuto nella Prima Repubblica», del cosiddetto «cambio di casacca». Esploso, di fatto, con «la fine dei partiti e l’eliminazione del voto di preferenza, combinato disposto di circostanze che hanno dato il via alla lunga stagione, ancora in atto, dei partiti personali e dell’attenuazione, fino all’annullamento totale, delle garanzie di democrazia interna». A partire dalla XII Legislatura la «transumanza» ha assunto dimensioni rilevanti: il 19,24% dei deputati eletti nel 1994, anno della «grande slavina berlusconiana» ha cambiato gruppo parlamentare in appena due anni. In quella successiva (1996-2001) il numero è salito al 21,16%. Una cifra contenuta, tuttavia, se messa al confronto con quella che viene registrata all’altezza di febbraio 2015: 27,61%. Numeri lontani anni luce da quelli dell’era pre-Mani pulite. «Nelle ultime due legislature della cosiddetta Prima Repubblica, ancorché tormentate (siamo alla fine del ciclo storico con il disfacimento dei partiti travolti da Tangentopoli), il tasso di cambiamento si aggirava ancora attorno alla fisiologia: tra il 4 e il 6%».

CAMPIONI DI TURN-OVER Sfatato anche il falso mito della longevità del nostro ceto politico: in Italia si pratica il turn-over più forsennato del mondo. La media di cambiamento è del 50 % (nell’ultima legislatura addirittura il 64%). Una classifica in cui non temiamo rivali. Le ultime tre legislature all’Assemblea Nazionale francese fatto registrare, ad esempio, un ricambio del 37,6%, del 22,87% e del 30,32%. Nella Camera dei Comuni inglese, in questa legislatura, il tasso di rinnovamento è del 34,92% (nelle due precedenti era stato del 18,3 e del 14,15%). Il Bundestag tedesco in carica presenta il 34,28% di novità. «Solo gli spagnoli sembrano lasciarsi affascinare dal nuovo più che dall’usato garantito: alle Cortes in questa legislatura c’è un turnover del 51,42%».

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