“L’Italia vive un grave problema di corruzione, anche rispetto agli altri paesi europei, e a dimostrarlo sono dati diversi da quelli sulla percezione o la stima fantasiosa dei 60 miliardi”. Lucio Picci, professore di Economia dell’Università di Bologna che da anni si dedica alla misurazione della corruzione, è autore insieme a Laarni Escresa di uno studio sulla corruzione transnazionale che parte da dati concreti, basati sulle statistiche giudiziarie. “Il nostro indice ha una forte correlazione con quelli fondati sulla percezione, di Transparency International o della World Bank. Raccontano la stessa storia. E anche se nella nostra ricerca l’Italia risulta meno corrotta rispetto a quanto emerge dalle indagini sulla percezione, guadagnando una ventina di posizioni, il quadro complessivo resta molto simile”. Anche in questo studio, in Europa, paesi come Finlandia, Danimarca e Svezia restano ai primi posti per virtuosità. Precedono l’Italia anche Regno unito, Belgio, Olanda, Germania, Francia, Spagna, Svizzera e Norvegia. Il nostro Paese resta infatti ultimo tra i membri del G7, seguito solo dalla Russia tra quelli del G8. Si tratta comunque di un work in progress e un quadro più nitido emergerà dai risultati definitivi.

Lo studio propone un indice della corruzione nella Pubblica amministrazione a partire dai casi di corruzione transazionale. Ovvero guarda ai dati giudiziari sugli scambi corrotti tra imprese di un paese e funzionari pubblici di un altro. Ricorre dunque di dati “hard”, oggettivi. “Il nostro studio non è esente da problemi ma vuole essere migliorativo rispetto agli studi sulla percezione”, spiega Picci. “Gli studi realizzati da Transparency International e dalla World Bank, che generano risultati simili, si fondano su percezioni di soggetti non necessariamente informati e aggregano i dati senza distinguere tra vari tipi di corruzione: spicciola, alta, in quali settori… In più hanno effetti reali, perché orientano gli investitori, e possono addirittura innescare profezie che si autoavverano”. Non vuol dire però che siano da buttare. “Forniscono comunque informazioni importanti e descrivono una realtà in larga parte sovrapponibile a quella che emerge da studi su dati oggettivi come il nostro”.

Le avvertenze per chi vuole parlare di costi della corruzione restano essenzialmente due. Prima, diffidare da dati spacciati per certi, come i famigerati 60 miliardi. Seconda, essere consapevoli che calcolare i costi della corruzione resta un’impresa ardua e nessuno possiede la sfera di cristallo. Perciò gli studiosi sono alla continua ricerca di metodi alternativi, da proporre all’interno di un dibattito che resta comunque aperto. “Se anche conoscessimo la cifra di tutte le tangenti pagate in un anno, quel numero non rappresenterebbe il costo della corruzione ma solo la punta dell’iceberg – avverte il professore – perché non tiene conto di tutte le distorsioni che la corruzione produce: ditte immeritevoli che vincono gli appalti, possibilità per i politici corrotti di godere di maggiori capitali da destinare alle campagne elettorali…”. Per tenerne conto “si potrebbero usare tecniche econometriche. Ma richiederebbero una lista tanto lunga di assunzioni iniziali da rendere difficilmente spendibile il risultato finale”.

La sfida è aperta e non è un caso se solo pochi mesi fa Paola Severino, ex ministro della Giustizia e prorettore della Luiss, ha annunciato una convenzione tra Anac e ministero della Giustizia per determinare indici che possano misurare il fenomeno della corruzione. Il professor Picci, insieme a Miriam A. Golden, ha proposto già nel 2005 un metodo alternativo per studiare i costi della corruzione a partire da dati oggettivi. I due studiosi hanno comparato le spese delle Regioni italiane in infrastrutture e l’inventario di quanto è stato realmente realizzato sul territorio. La differenza tra spese e opere realmente costruite è servita per costruire un indice di corruzione delle regioni italiane che lascia emergere enormi distanze. Con le regioni meridionali che spendono mediamente di più delle regioni settentrionali per avere, a confronto, meno infrastrutture. Tale distanza è indicata come costo, aggregato, di corruzione e inefficienza.

“La corruzione in Italia ci costa tantissimo”, conclude Picci “anche se non sappiamo esattamente quanto”. Secondo il professore i sintomi del grave problema corruttivo esistono ma vanno cercati altrove.  Per esempio nelle intercettazioni delle inchieste che “raccontano una corruzione sistemica che non si crea dall’oggi al domani”. L’esistenza di reti e “cricche” dimostra che il fenomeno corruttivo è diffuso e radicato. Nelle statistiche di vittimizzazione, che rilevano le esperienze di corruzione vissute direttamente dai cittadini e indicano, anch’esse, che “in Italia il livello di corruzione è superiore che in altri paesi europei”. Ma anche nelle misure sulla percezione, che al netto dei loro limiti (presenti anche in tutti gli altri metodi) raccontano un andamento sovrapponibile ad altri studi. Infine, da oggi, anche al nuovo studio di Escresa e Picci sulla corruzione internazionale che, seppure recuperando qualche posizione all’Italia nel panorama internazionale, racconta una situazione tutt’altro che rosa e fiori. Con buona pace di quanti negando la certezza dei numeri vorrebbero negare l’esistenza stessa della corruzione.

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