Contratti, solo un effetto rimbalzo”. Il Sole 24 Ore, dalla sua prima pagina, smorza gli entusiasmi del governo sugli effetti degli sgravi contributivi introdotti dalla legge di Stabilità. E rileva che l’aumento di 79mila unità dei contratti a tempo indeterminato registrato dal ministero del Lavoro a gennaio e febbraio “è dipeso essenzialmente dalla trasformazione di rapporti a termine e da un effetto “rimbalzo”, visto che negli ultimi tre mesi del 2014 le attivazioni di contratti sono scese gradualmente in attesa dell’entrata in vigore dei forti incentivi fiscali” previsti dalla manovra. Non solo: “Al netto delle cessazioni, i nuovi contratti a tempo indeterminato nei primi due mesi dell’anno sono pari a 45.073”, poco più della metà dei 79mila sbandierati nei giorni scorsi.

Venerdì scorso il quotidiano di Confindustria, come tutti gli altri, ha dato conto degli annunci del ministro Giuliano Poletti ma limitandosi alla cronaca. Non così Repubblica e Corriere, che hanno sposato con decisione l’ottimismo dell’esecutivo titolando “Boom dei contratti stabili” e “Il premier: ‘Lavoro, dati sorprendenti‘”. Domenica poi il Sole ha pubblicato un editoriale di Luca Ricolfi dal titolo “Segnali veri e segnali di fumo” che sollecitava maggiore trasparenza e ventilava anche l’ipotesi di “qualche svista” sui dati di gennaio-febbraio 2014 “fatti circolare dagli uffici governativi”.

Assumendo che siano esatti, notava Ricolfi, sottraendo quel numero dal totale delle assunzioni a tempo indeterminato del primo trimestre dell’anno scorso si ottiene che nel marzo 2014 gli inserimenti stabili sono stati 217mila, un risultato “molto maggiore di quello che ora viene considerato uno straordinario successo“. Insomma, “il giudizio sul ritmo delle assunzioni attuale molto dipende dal termine di paragone adottato”. Il sociologo ed editorialista concludeva notando che di “grande successo” si sarebbe potuto parlare solo a condizione che “non vi sia stato un massiccio rallentamento delle assunzioni alla fine dell’anno scorso”, che “a fronte dell’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato non vi sia un calo degli altri tipi di assunzioni”, che “a fronte di un aumento delle assunzioni, non vi sia un aumento delle cancellazioni” e infine che “il saldo fra assunzioni e cancellazioni sia positivo”.

Proprio per far chiarezza, martedì – giorno in cui l’Istat ha comunicato che la disoccupazione giovanile a febbraio è tornata a salire – il giornale economico ha messo in fila una serie di numeri che mostrano come il quadro sia meno roseo di quanto sostiene la vulgata ufficiale. Per prima cosa, appunto, la prima condizione citata da Ricolfi non risulta rispettata perché i datori di lavoro hanno in effetti sospeso le assunzioni a fine 2014 aspettando gli incentivi. Poi, per esempio, nel primo bimestre dell’anno sono aumentate anche le cessazioni di contratti a tempo indeterminato: dalle 243.655 del 2014 a 257.945 del gennaio e febbraio 2015. E anche le cessazioni di contratti a termine segnano un incremento, il che dimostra come molti dei nuovi rapporti stabili siano il frutto della trasformazione di contratti di lavoro già esistenti.

Conclusione: prima di parlare di ragionevole successo occorre attendere il dato trimestrale dell’Istat sulle attivazioni e verificare perlomeno se in seguito alle politiche del governo le attivazioni stabili sono state almeno il 30% del totale, contro il 15-16% registrato in media fino a oggi. Per ora, l’entusiasmo è prematuro.

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