“Mi aspettavo di vincere, gli altri erano più vecchi di me”. Lamberto Boranga è fatto così: raggiunge un traguardo, lo liquida con una battuta e passa a quello successivo. Da qualche settimana nella teca di casa ci sono due nuove medaglie d’oro: quelle di campione italiano di salto in alto e getto del peso over 70. Ad Ancona, dove si svolgeva il tricolore di atletica indoor, ha passato l’asticella a 139 centrimetri di altezza, prima di un lancio da oltre 11 metri. Boranga è nato a Foligno 72 anni fa e veste la pettorina dell’Olimpia Amatori Rimini, cui regala titoli a ripetizione.

É primatista italiano di numerose specialità in diverse classi di età e si è fatto conoscere fuori dai confini: nel 2012 frantumava il record mondiale di salto triplo over 70 con la misura di 10.75 metri, lo scorso anno il trionfo internazionale nell’amato salto in alto. Una volta a Sacramento, in California, conobbe “quell’omone di due metri” di Dick Fosbury, l’atleta che rivoluzionò la disciplina con il pensionamento dello scavalcamento ventrale. “Ho ancora tanta voglia, quasi la necessità di fare attività sportiva per cui non intendo fermarmi – racconta – Sto abbastanza bene e mi diverto, smetterò quando non respirerò più. Faccio di tutto per rimanere nelle condizioni fisiche e psicologiche che mi permettano di affrontare simili esperienze, è fondamentale evitare le esasperazioni e non andare oltre le proprie capacità”.

Il segreto del suo successo è più intuitivo di quanto si possa immaginare. “Mangio bene e mi alleno spesso. A casa ho una mansarda arredata come palestra e nei ritagli di tempo la utilizzo. La mattina, quando sono libero, vado allo stadio dell’atletica Santa Giuliana di Perugia e faccio corsa e salto. Senza esagerare, sempre compatibilmente con anni e spirito”. Attorno a queste doti, longevità e atletismo, Lamberto Boranga ha costruito una carriera da portiere tra gli anni ’60 e ’70. Cresciuto nel Perugia, a pochi passi da casa, difese i pali di Fiorentina, Reggiana e Brescia, prima di Cesena, Varese e Parma. Nel frattempo trovava il modo di laurearsi in biologia e medicina. Ancora adesso esercita la professione e tocca chiamarlo dottor Boranga. “Il lavoro non mi permette di dedicarmi completamente agli allenamenti – spiega – Nella vita non ho voluto concentrarmi solo sullo sport, ritengo che sia stata la mia forza. Se tornassi indietro, però, non so se rifarei tutto quanto: ho fatto troppi sacrifici”.

Mai ha scisso passione, impegno e lavoro. Come nel 2005, quando denunciò l’abuso di doping nel pallone. “Ai miei tempi, inconsapevolmente, abbiamo preso di tutto: le conseguenze dell’uso della eritropoietina sulla salute degli atleti si vedranno fra 20 anni e saranno devastanti. Ora regna la cocaina, che dopo due giorni sfugge ai controlli antidoping” disse nel corso di una intervista ad Avvenire. Lamberto Boranga fa parte dello staff medico del Perugia calcio, in Serie B. “Una volta alla settimana mi alleno con i portieri Amelia, Koprivec e Provedel. Faccio i loro stessi esercizi, sorridono a vedere un vecchietto volare. Sono un po’ la mascotte del gruppo: faccio da traino e da motivatore”.

Sono finiti invece i tempi delle partite ufficiali, durati mezzo secolo e più. A 50 anni suonati Boranga tornava in campo nel campionato umbro di Promozione per vestire la maglia del Bastardo. Nulla in confronto al coreografico ritorno del 2009, quando fu tesserato dall’Ammeto in Seconda Categoria. I 70 anni li festeggiò tra i pali, da numero uno del Papiano. “Ora gioco con la nazionale dei medici e con gli amici, una decina di partite all’anno per non dimenticare il mestiere – dice Boranga – Parare in B è più semplice che in Prima Categoria: i compagni professionisti gestiscono la palla con disinvoltura, gli amatori non sanno quello che fanno e ti mettono sempre in difficoltà”. L’ultimo pensiero del portiere bionico va al calcio di oggi, che non ha mai smesso di seguire nonostante i mali che lo affliggono. “Ho giocato a Parma e frequentato l’università lì, è la mia seconda casa: sono desolato per quanto sta accadendo. Non è colpa della città, ma di chi ha permesso che si arrivasse a questo punto. In America, Germania o in Inghilterra non sarebbe mai potuto succedere: la federazione si faccia un esame di coscienza”.

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