Cinque minuti in cui si può fare di tutto, anche portare l’aereo a schiantare. Dai primi dati sulle scatole nere dell’Airbus320 di Germanwings precipitato martedì sui monti della Provenza si fa largo un’ipotesi investigativa choc, quella del pilota che resta solo in cabina e si isola dall’interno mentre il copilota bussa inutilmente per entrare, fino a tentare di sfondare la porta. Questo dicono le voci registrate e ascoltate dagli investigatori secondo le indiscrezioni del New York Times. Una ricostruzione che accredita l’ipotesi di un attentato o del suicidio del pilota in servizio rimasto nella cabina di pilotaggio. E sposta l’orizzonte della vicenda: l’indagine sulla sicurezza aerea potrebbe presto trasformarsi in un’indagine criminale.

La differenza potrebbe farla un “bottone”. Proprio così. Nelle scorse ore al centro dell’attenzione era il codice numerico che permette l’ingresso controllato alla cabina di pilotaggio. Si tratta di un codice a tastiera che viene fornito dal costruttore e aggiornato dalla compagnia di manutenzione ed è noto ai piloti e agli assistenti di volo. Le conversazioni registrate fanno ipotizzare che la cabina non si sia aperta ai vari tentativi messi in atto dal comandante che era uscito lasciando solo il copilota. E l’attenzione si è spostata dunque su un secondo sistema di sicurezza. La porta blindata della cabina di pilotaggio dell’Airbus A320 è dotata infatti di un meccanismo di sicurezza che ne permette l’apertura automatica in caso di emergenza, ma se dall’interno l’accesso viene negato non c’è modo di aprirla. Lo spiega a ilfattoquotidiano.it Fabio Peppucci, direttore tecnico del sindacato Anpac che proprio alla guida di Aribus ha macinato ben 9mila ore di volo.

“E’ un ulteriore sistema di sicurezza finalizzato a isolare la cabina dall’interno, anche questo introdotto dopo l’11 Settembre. Si tratta di un interruttore a pulsante posto sul pannello di controllo che premuto isola per cinque minuti la cabina anche dal sistema a codice. Dopo cinque minuti la porta si può riaprire dall’esterno con il codice, ma basta schiacciare ancora il pulsante per prolungare l’isolamento”. E allora l’ipotesi, che fa il paio con gli audio della scatola nera, potrebbe essere che il copilota ha tentato in tutti i modi di entrare ma non ha potuto perché questo dispositivo veniva blindato dall’interno agendo sul bottone. Se dall’interno, infatti, non arriva alcuna risposta alla richiesta di accesso tramite codice standard, dopo 30 secondi la porta si spalanca automaticamente. A meno che quel bottone non venga premuto interrompendo manualmente l’automatismo.

Ma quando sapremo qualcosa di certo? “Probabilmente – risponde Peppucci – presto. Serve molta prudenza ma l’inchiesta tecnica ci farà conoscere tutto. A differenza di altri casi, come il volo sparito in Malesia, qui abbiamo tutto: l’aeroplano, le scatole nere, i detriti e sono tutte evidenze che parlano agli investigatori. Le scatole sono già state parzialmente analizzate e infatti questa ipotesi viene da un’indiscrezione uscita ma dalla trascrizione delle registrazioni”.

Resta da capire perché il copilota abbia lasciato solo il comandante. Peppucci ipotizza che sia potuto accadere per un banale bisogno fisiologico ed esclude, in linea di principio, ragioni di emergenza. “In questo tipo di macchina le porte della toilette della prima classe sono attigue alla cabina di pilotaggio. Quindi è per andare alla toillette che si verifica la circostanza per cui uno dei piloti lascia la cabina e i comandi all’altro. Non ci sono altre situazioni ordinarie e straordinarie: quando si vola in condizioni di equipaggio minimo, che vuol dire due piloti, come in questo caso il tempo di assenza dalla cabina di pilotaggio deve essere ridotto al minimo indispensabile”.

Quindi se non è strettamente indispensabile la cabina non va lasciata dall’uno o dall’altro pilota. “Il collegamento tra la cabina di pilotaggio e quella passeggeri, del resto, c’è attraverso il sistema interfonico che permette in ogni momento ai piloti di colloquiare con gli assistenti e i passeggeri. Quindi non è necessario uscire”. Ma se c’è un problema è usuale che il copilota magari vada a rassicurare i passeggeri? “Assolutamente no. Durante il volo anzi è sconveniente in determinate circostanze entrare in contatto con i passeggeri. Quindi i piloti rimangono in cabina e proseguono nei loro compiti operativi. E’ una questione di priorità: i piloti devono pensare a metter in sicurezza il volo, gli assistenti si occuperanno di contenere il panico e le paure dei passeggeri”.

L’altro mistero su cui si cercano elementi è quel silenzio radio lungo ben 8 minuti. Cosa può nascondere? “In realtà non è anomalo di per sé. In una procedura d’emergenza esistono priorità definite e la prima è mettere in sicurezza il velivolo e l’equipaggio”. Ci sono una serie di operazioni da fare per assicurare il controllo della macchina e della sopravvivenza dei passeggeri: verificare se i sistemi automatici di rilascio delle maschere sono intervenuti, comandare l’utilizzo dell’ossigeno agli assistenti di volo. “In tutto questo, organizzare anche la successiva condotta dell’aeroplano per capire dove dobbiamo pilotare la macchia. Le chiamate radio sono delle azioni che vengono posticipate in un momento successivo, quando tutto ciò è stato fatto. Se la condotta della macchina e le condizioni a bordo non lo consentono la chiamata radio può essere ritardata. Se non l’hanno fatto è perché non hanno potuto o c’era altro da fare. E poi vedremo il perché e cosa”.

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