Difficile aggiungere qualcosa di sensato, soprattutto se uno come Louis Armstrong la definì la più “grande cantante bianca del mondo”. O Frank Sinatra, che non avrebbe badato a spese perché si esibisse “almeno una volta negli Stati Uniti”. Diceva più o meno Fabrizio De André: “Ha la musica nel Dna, le evoluzioni vocali, bassi, picchiati, i grappoli di note, le vengono naturali come se dovesse parlare. E’ il talento: conoscere prima di sapere”. O Enzo Jannacci, per una volta quasi imbarazzato davanti a una domanda, e non per finta: “Vabbè, Mina è Mina”. Possiamo dire anche che Dario Fo continua a ripetere che “quel suo modo di muoversi, apparentemente fuori tempo, l’alzare le braccia e farle roteare come in una serie di pose plastiche, sono cose solo sue, che arrivano prima ancora della voce”.

Citazioni, uno scartabellare nella memoria. Mina è solo Mina, c’è poco da aggiungere. Porta i suoi 75 anni con le mani ancora alzate, la voce ogni volta che decide di andare in studio arriva come la primavera, la riconosci per gli odori e i colori. Poi inizia, e ti porta dove vuole lei. Forse è una delle poche persone alla quale non frega niente di rispondere come il pubblico vorrebbe, è lei che se lo prende per mano e lo porta dove vuole. Gli altri diventano delfini appesi alla meno peggio su una fontana, è lei che ci mette l’opera d’arte. Ci sono canzoni che sono diventate tali solo perché lei ha deciso di farle. Perché è Mina Mazzini, nata a Busto Arsizio, padana fuggita via dalla nebbia un giorno di tanti anni fa, quella nebbia che poi le è rimasta nei colori, nella pelle troppo chiara per essere vera. Prendete Se telefonando. Nasce quasi per scherzo, la firma Maurizio Costanzo, e racconta di un intreccio di telefonate. Costanzo non è un paroliere, ma lei la prende e la rende come una poesia che corre su dei fili della memoria sempre e troppo spesso pronti a spezzarsi. Non è un capolavoro neanche Ancora, parole e musica di Cristiano Malgioglio: è lei che decide che deve farla canzone, con tutto quel carico di sensualità e sessualità che si porterà poi dietro un brano che cantato da qualsiasi altra persona non avrebbe avuto la stessa storia. A volte decide – e torniamo a De André – che debbano avere una strada: così fa sua La canzone di Marinella che trasuda poesia, costruisce fiumi, cavalli, principi. Marinella continua a essere un capolavoro, nasce perché De André legge la storia di una prostituta uccisa nella campagna genovese, e lui decide di addolcirle la morte e rendere a quella Marinella una vita diversa. Al resto ci pensa Mina, che la fa volare: “Mina ha truccato le carte a mio favore, se non l’avesse scelta lei avrei continuato gli studi in giurisprudenza, a scapito dei miei possibili clienti”.

C’è Mina in tutto questo. Generosa e curiosa, attenta ai giovani. Ancora oggi, nella sua casa di Lugano, ascolta brani che le arrivano da tutto il mondo. E lo fa con tutti, poi è lei che decide. Come quando disse basta. Vale ricordarlo, perché la storia resta negli annali della musica. E’ il 1978. Mina non va più in tv da un pezzo, e da sei anni nemmeno si esibisce dal vivo. Accetta un contratto con Bussoladomani solo perché glielo chiede Sergio Bernardini, l’uomo che poi l’aveva lanciata dalla Versilia verso il mondo. Tredici serate. Mina inizia molto tardi, ogni sera c’è un comico che le fa da spalla. Si presenta sul palco con un abito nero, di seta, trasparente, che la mostra ancora in una bellezza che è solo sua perché è vera, come quando si muove. Apre un brano registrato, scritto da un Ivano Fossati che è ancora ragazzo. Stasera io qui, bellissimo pezzo. Che dice come sarebbe andata a finire. I concerti sono sold out dopo due giorni di prevendita. Mina aspetta di salire sul palco nella roulotte parcheggiata dietro, fuma una sigaretta dietro l’altra, poi va su, e non si risparmia. Canta come forse non aveva mai cantato prima, nel senso che non si trattiene. Ma c’è qualcosa, anche tra quelli che la seguono, che non torna. Non è più Mina che cambiava colore dei capelli e fidanzati, si faceva personaggio. Si apriva una nuova stagione. Ma vai a capire che una sera, il 23 agosto, avrebbe lasciato tutti lì, sulle note di Grande grande grande coi musicisti che aspettano il ritorno per i bis e lei è già su una Mercedes, direzione casa. Continuano a suonare, ma Mina non rientra. Via, un inizio di broncopolmonite, ma in pubblico non tornerà a esibirsi mai più. Finale a sorpresa, il colpo di scena che ogni regista vorrebbe mettere nel film. Mai più. La fotografano ogni tanto, ancora oggi, tra Lugano e Forte dei Marmi. Incontra molte persone, telefona, ma dal vivo mai più. E nemmeno per intervista.

Se l’è scelto lei, il finale, come il repertorio. Poi un disco ogni anno. Canzoni americane, napoletane. Non sempre grandi dischi, se non fosse la sua voce. Forse lei, la Tigre di Cremona, come uscì dalla penna di Natalia Aspesi, non ha mai avuto un repertorio all’altezza del suo Dna. Questo è l’unico motivo per il quale è “solo” la più grande cantante bianca del mondo. Mica molto da invidiare a Ella Fitzgerald, solo che Mina continua a viaggiare su un binario tutto suo. E’ Mina Mazzini. Ha scelto lei.

Merita ricordare il rapporto con Enzo Jannacci. Mina, frequentatrice del derby degli anni d’oro, adorava Jannacci, il medico che girava per Milano in Vespa e, in piedi, Paolino, il figlio, oggi musicista anche lui, bravissimo al piano. Mina, era il 1977, fece il suo primo album tributo a Jannacci, voce e parole molto diverse. Mina quasi Jannacci. Va riascoltato per capire cosa è Vincenzina e la fabbrica, cosa è diventata l’Italia oggi. Sono testimone indiretto di un pianto quando Jannacci se n’è andato. Mandai un messaggio alla figlia di Mina, Benedetta, usai la cortesia di non farle leggere sui giornali di un compagno di tanta strada. Benedetta rispose con un sms: “Odio veder piangere mia mamma”. Una bomba che non si può disinnescare, dice Adriano Celentano. E’ lei, la signora della canzone Italiana, quella del buona la prima. Mina Mazzini, che a fine agosto del 1978 lasciò tutti lì, ad aspettarla, consapevoli che non l’avremmo rivista in concerto. Solo accontentarci di quello che aveva già dato. Tanti auguri, Mina. Alla prossima, più bella di quella appena ascoltata.

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