Tre mesi di vacanza per gli studenti sono troppi. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti chiede una riflessione sul periodo di riposo degli alunni delle scuole italiane: “Un mese di vacanza va bene, anche uno e mezzo può andare. Ma non c’è un obbligo di farne tre, senza fare nulla”, ha detto a Firenze intervenendo al convegno sui fondi europei e il futuro dei giovani promosso dalla regione Toscana. “Magari un mese potrebbe essere passato a fare formazione“.

Proposta, quindi, una discussione sull’interruzione estiva delle scuole, ma anche e soprattutto sul “rapporto tra scuole e mondo del lavoro“. “I miei figli d’estate sono sempre andati per un mese al magazzino generale a spostare le casse della frutta. Sono venuti su normali, non sono ragazzi straordinari o speciali. Ecco, – ha aggiunto Poletti – non ci dobbiamo scandalizzare se per un mese durante l’estate i nostri giovani fanno un’esperienza formativa nel mondo del lavoro. Dobbiamo affrontare questa questione culturale ed educativa, e non spostarla sempre più avanti”. Secondo il ministro non ci sarebbe pertanto nulla di strano “se un ragazzo lavorasse tre o quattro ore al giorno per un periodo preciso durante l’estate, anziché stare solo in giro per le strade”.

La posizione del ministro del lavoro non convince però il coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (Codacons). Carlo Rienzi, presidente dell’associazione dei consumatori, ha sottolineato che “per i giovani trovare lavoro non è certo una passeggiata, e a causa della crisi economica che perdura nel nostro paese è diventata sempre più un’impresa ardua”. La disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto il 41,2% e “più che spingere gli studente a lavorare d’estate – conclude Rienzi – il ministro dovrebbe spingere le aziende ad assumere giovani e creare occupazione attraverso provvedimenti specifici”.

Articolo Precedente

Scuola, pagelle di studenti stranieri: “Prof in Italia? Ottimi ma non sanno lingue”

next
Articolo Successivo

Lavoro, figli di papà e papà sfigati: l’Italia da raccontare ai miei alunni

next