Spunta l’ombra della ‘ndrangheta sullo sfondo dell’inchiesta che ha portato all’arresto del presidente del Parma Calcio Giampiero Manenti, accusato dalla Procura di Roma di reimpiego di capitali illeciti.

In manette, infatti, sono finiti due personaggi calabresi legati a famiglie mafiose della provincia di Reggio Calabria. Si tratta di Michele Fidale e Ilario Ventrice, gli intermediari di un’operazione finanziaria da 5 milioni di euro e ribattezzata “Alicante” dai magistrati. Un’operazione per la quale sono stati arrestati anche gli hacker Rodolfo Cernuto, Giuseppe Costanzo, Gianluca Alessandro Cirnigliano, Costantin Marius Boveanu e Guido Adriano Tori. A quest’ultimo, un commercialista di Grossetto, secondo gli inquirenti è riconducibile la società spagnola beneficiaria dell’operazione “Alicante”.

In sostanza, la Procura di Roma ha “dimostrato che è stato effettivamente attuato un accesso fraudolento al server della “Usb Ag” (banca svizzera, ndr) e un trasferimento di 5 milioni di euro su un conto corrente della Totem Sl di Alicante presso la Caixabank, il tutto con l’evidente contributo di bank officiers dei due istituti di credito, che infatti risultano destinatari del 40% delle somme trasferite”.

Cinque milioni di euro di cui 250mila dovevano essere, stando alla ricostruzione dei pm, dei due intermediari calabresi: Michele Fidale (originario di Polistena e cognato del boss Vincenzo Longo di cui ha sposato la sorella) e Ilario Ventrice, che annovera “una condanna definitiva per associazione mafiosa – scrive il gip nell’ordinanza – e successive condanne per estorsione, nonché sequestro di persona, rapina e armi”.

Fidale, invece, nel 2011 era stato arrestato nell’operazione “Re Artù” per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di titoli e certificati di deposito di illecita provenienza presso diversi istituti di credito operanti su tutto il territorio nazionale ed estero. In primo grado è stato assolto ma questo è il profilo di Fidale tracciato dal commissariato di Polistena e inserito in un’informativa consegnata ai magistrati che lo stavano indagando: “Già sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Polistena dal 1993 al 1995,risulta essere persona inserita a pieno titolo nella locale cosca mafiosa denominata Longo. Lo stesso annovera precedenti penali per emissione assegni a vuoto, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco e bancarotta fraudolenta. Nel maggio del 1991, unitamente ad altre quattro persone, è stato tratto in arresto per favoreggiamento personale e concorso nella detenzione abusiva di munizioni e di parti di armi da fuoco. Quest’ultima vicenda si riferisce alla scoperta da parte dei carabinieri in località Pirarelli del comune di Candidoni di un bunker costruito sottoterra e abilmente occultato, dotato di letti, sanitari e cucina ed utilizzato dalla cosca Pesce di Rosarno per nascondere i latitanti. Il coinvolgimento del Fidale è derivato dal fatto che si è ritenuto che egli, nella sua qualità di muratore, avesse provveduto nel tempo alla realizzazione dell’opera”.

Ritornando all’inchiesta in cui è stato arrestato il presidente del Parma Manenti, grazie alle intercettazioni gli investigatori hanno registrato anche delle frizioni tra gli indagati in merito alla spartizione dei 5 milioni di euro. Alcuni hacker (che dalle intercettazioni emerge essere vicini al clan Santapaola di Catania) non avevano ricevuto la loro parte e minacciavano la guerra ai finanziatori dell’operazione “Alicante”.Uno di loro si lamenta con Fidale dicendogli: “Non siamo gli ultimi arrivati Michele, tu non ci conosci”. E il cognato del boss Longo replica: “Io so chi sono io, non ti preoccupare. Diciamo che siamo tutti uguali, né di più né di meno”.

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