Le notizie che giungono da Tunisi sono ancora frammentarie. La sola certezza è che terroristi hanno attaccato pulman e gruppi di turisti di fronte al Museo Bardo, facendo fatto 22 morti, secondo le agenzie, tra cui alcuni italiani. Il bilancio è provvisorio e può darsi che saremo costretti a confrontarci con una realtà molto più tragica. Gli attentatori sono stati fronteggiati dalle forze dell’ordine e alcuni di essi sono stati uccisi altri invece catturati vivi e sono in queste ore sottoposti ad interrogatorio.

L’attacco ha avuto un obiettivo certo: i turisti e attraverso di loro un attentato all’economia del Paese, al turismo, ora che iniziava la stagione. Non bisogna dimenticare che dopo la rivoluzione del 2011, la Tunisia aveva intrapreso un cammino difficile che aveva dato risultati positivi.

Il varo della Costituzione, elezioni democratiche che avevano permesso l’affermazione di un parlamento liberamente eletto, e di un presidente, Beji Caid Essebsi, rappresentante di un partito, Nidaa Tounes, di ispirazione laica che ha battuto il partito Ennahda, un partito di ispirazione religiosa vicino ai Fratelli Musulmani che avevano vinto e governato il paese dopo la rivoluzione.

L’impazienza che l’Occidente mostrava sugli sviluppi democratici delle rivoluzioni dei Paesi del sud del Mediterraneo, Tunisia, Egitto, Libia e poi anche Siria, sembravano fugati a proposito del paese dei gelsomini. Dopo un periodo di governo degli islamisti di Ennahda, governo moderato e schierato con l’Occidente, ma che non aveva saputo cogliere le aspirazioni di libertà che circolavano nella società tunisina, si era registrata la prima rottura con le opposizioni laiche dopo l’omicidio di Chokri Belaid, laico, marxista, con quei movimenti che rifiutavano l’inserimento nella Costituzione di leggi ispirate alla sharia.

Tali contrasti si sarebbero accentuati successivamente con l’assasinio di Mohamed Brahimi, fondatore di uno dei partiti laici del paese. Nonostante questa situazione, la Tunisia stava cercando di imprimere un ritmo normale alle sue attività di governo tanto da essere riconosciuta come la realtà che aveva dato frutti positivi nel campo della dialettica democratica. Questa situazione mal si concilia con una crisi economica che attanaglia il paese e con le fughe in avanti che migliaia di giovani tunisini hanno fatto andando a ingrossare le file dell’Isis. Questa realtà ci deve far riflettere perché, a mio avviso, registra la crisi dei movimenti religiosi come Ennahda e anche di quelli più estremisti, quali i salafiti, perché non sono più capaci di attirare e di rispondere ai bisogni di molti giovani non solo tunisini. E’ questo travaso che ci deve preoccupare perché se si rompono anche questi argini la marea non si fermerà solo al sud del Mediterraneo e potrebbe innescare emulazioni pericolose come abbiamo già visto nei fatti di Parigi.

L’Europa non può rimanere assente come lo è stata durante gli sconvolgimenti rivoluzionari de 2011, né può pensare di limitare il suo aiuto ad un sostegno bellico ma deve essere capace di mettere in atti politiche di lungo periodo perché non si tratta di piccole scaramucce, ma di processi più profondi che coinvolgono giovani alla ricerca di nuove identità.

Il bersaglio Tunisia, non dimentichiamo i confini con la Libia e le possibilità di infiltrazione del terrorismo che si richiama all’Isis, è stato scelto non a caso. Per il califfato o per quelli che si ispirano alla sua ideologia non è concepibile che una rivoluzione possa riuscire in un paese musulmano secondo schemi occidentali. Se questo è possibile tutta la propaganda sulla purezza delle origini, sulla costruzione di una società fondata sulla sharia entrerebbe in crisi. Per questo e in questo momento dobbiamo esprimere una solidarietà concreta alla Tunisia.

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