“Noi pisani ce l’abbiamo a morte con i livornesi e i lucchesi. Anche con i fiorentini non si scherza”. Roan Johnson nel nome ha tutto fuorché del pisano, tantomeno del toscano. Madre materana, padre inglese, entrambi docenti universitari, Johnson ha incontrato Pisa da bambino e c’è rimasto per oltre vent’anni. Così quando c’è stato da scrivere il primo film, Ora o mai più (2003), David lo studente universitario protagonista partiva da Piazza dei Miracoli e correva a Genova a farsi massacrare nel G8. Per l’opera prima alla regia, I primi della lista (2011), un gioiello di bravura e di comicità assolutamente da recuperare, i tre ragazzi che nel 1970 credono imminente un colpo di stato fuggono dalla loro città, Pisa. Nel film in uscita in sala, Fino a qui tutto bene, lo skyline e l’ateneo pisano si scambiano ruolo di sfondo e primo piano per ribadire ancora una volta le radici dell’autore 41enne.

Far ridere è un equilibrio difficile”, spiega Johnson al fattoquotidiano.it. “a noi toscani in fondo piace essere irriverenti. Il brano dei Gatti Mezzi, Morirò d’incidente stradale, che è nel film, ne è la prova. Ridiamo in faccia alla morte e alla mamma”. Anche se per i cinque studenti che stanno per abbandonare il loro appartamento in affitto per gli studi e aprirsi ad un futuro più o meno incerto c’è uno sguardo un po’ più malinconico e trasognato: “Vero, il cinismo degli Age e Scarpelli manca volutamente. Con la sceneggiatrice Ottavia Madeddu, che è anche la mia compagna, ci siamo molto rivisti in questi cinque ragazzi, in quel periodo della vita”.

L’origine documentaria di Fin qui tutto bene è nota: “Parlo di una generazione diversa dalla mia, i trentenni di oggi. Io mi sono laureato in lettere nel 1999 e non avevo una consapevolezza così forte della crisi economica. In generale la mia generazione anche se laureata diceva ‘va beh dai troviamo un lavoro anche brutto’. Loro invece essendoci nel mezzo hanno una determinazione diversa da noi: non solo non si arrendono mai e continuano a sognare di fare un lavoro che gli dia gioia, ma sono consapevoli che non esisterà più il posto fisso e a maggior ragione puntano alto. È una bella sfida alla crisi, a viso aperto. Io stesso sono stato influenzato da questo clima nel produrre il film. Non ci fosse stata la crisi non avremmo avuto la stessa urgenza di farlo (gli attori e tecnici non sono stati pagati ma avranno una percentuale sugli incassi ndr). Il progetto sarebbe rimasto sul tavolo di un produttore romano per almeno due anni”.

Scuola nazionale di Cinema (ex CSC) alle spalle, Paolo Virzì che indica la strada della regia invece che quella della scrittura (“Aveva capito la mia natura. Sarò presuntuoso ma ho più il piglio da leader che l’umiltà gregaria di uno sceneggiatore”), Johnson si gode l’attenzione dei media e l’attesa di questi giorni fatidici per il suo film: “Racconto di un tema universale, una stagione della vita identica in Inghilterra e negli Usa. Per gli inglesi è quasi un obbligo andar via di casa per studiare. Certo i nostri ragazzi si laureano sui 24-25 anni e tra borse di studio e dottorati ne escono attorno ai 27-28. Troppo. Però una produttrice francese che ha visto il film mi ha detto che si potrebbe fare un remake. “‘Basta che gli attori si taglino la barba’”.

Non troppo lontani, comunque, i tempi in cui si metteva in scena la mattanza di Bolzaneto al G8: “Nel 2003 con Ora o mai più ero in un momento di fervore rivoluzionario. Ero stato a Genova, ma lì si è rotto qualcosa. È stata come una linea di confine della storia. Non so se leggerla come una sconfitta dovuta alla brutale repressione delle forze dell’ordine o come un atteggiamento sbagliato dei vari movimenti. La storia accelera i tempi. In pochi anni il G8 di Genova è scomparso. La politica e la società hanno subito una brusca mutazione genetica. Viviamo in un contesto sociale sfaccettato e multiforme, dove l’individuo è diventato mille individui, moltiplicato tra diversi account e l’ora dell’aperitivo. Vorrei capire bene che succede. Sarebbe bello farmi dare una risposta da Roland Barthes”.

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