Don Riccardo Seppia, il prete genovese condannato a 9 anni e mezzo di carcere per reati legati alla pedofilia e alla cessione di stupefacenti, in carcere dal 13 maggio 2011, fra un paio di mesi potrebbe tornare in libertà. E in un futuro non troppo lontano – se gli venisse revocata la sospensione a divinis che lo ha colpito dopo la condanna penale – potrebbe persino tornare a dire messa. Dopo avere scontato, tuttavia, il proprio peccato soggiornando in un centro di comunità di recupero e sostegno riservata ai religiosi.

Don Seppia, parroco della chiesa genovese del Santo Spirito di Sestri Ponente, era stato accusato di aver ceduto cocaina a minorenni in cambio di favori sessuali, nonché di aver ceduto cocaina all’ex seminarista Emanuele Alfano, anche lui arrestato nel corso della stessa inchiesta e accusato di induzione alla prostituzione minorile.

Il nuovo quadro accusatorio si desume dalle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che nel novembre dell’anno scorso aveva riqualificato il reato per il quale don Seppia era stato condannato nei primi due gradi di giudizio: da tentata induzione alla prostituzione minorile a tentati atti sessuali con minorenni. La Suprema Corte aveva quindi annullato parzialmente la sentenza di appello con rinvio parziale ad un nuovo giudizio presso la Corte di appello di Genova. Che dovrà tenere conto delle indicazioni fornite dai giudici di ultima istanza. Spiega a ilfattoquotidiano.it l’avvocato Paolo Bonanno, difensore del sacerdote: “La Cassazione ha accolto la nostra richiesta di considerare la continuazione fra i reati sessuali e quelli di spaccio di stupefacenti e di conseguenza la Corte d’Appello dovrà applicare una sorta di sconto sulla pena irrogata in precedenza. Inoltre i giudici di merito avevano considerato equivalenti l’aggravante della cessione di droga a minorenni e l’attenuante della modica quantità della sostanza. Ma la nuova normativa ridefinisce come un reato autonomo, punibile con una pena da 6 mesi a 4 anni, quella che era un’attenuante e come da noi richiesto i giudici di appello dovranno tenerne conto nelle determinazione della nuova pena”.

C’è infine un ulteriore assetto in senso strettamente tecnico. La legge prevede che la detenzione in custodia preventiva non possa mai superare i quattro anni. E così si giungerebbe al 13 maggio 2015, data nella quale è escluso che il nuovo giudizio di Appello, nonché l’eventuale pronuncia della Cassazione, possano essere già stati emessi. Se l’istanza di scarcerazione del difensore sarà accolta Don Seppia potrà quindi uscire dal carcere e in attesa di conoscere la propria sorte giudiziaria sarà ammesso alla penitenza, invero non troppo pesante, della comunità di recupero. Dove lo attende una spartana ma non afflittiva disciplina. Ore 7,15 del mattino la recita delle Lodi, la sera l’Adorazione e il Vespro. Durante la giornata, il sacerdote dovrà svolgere dei lavori perché in quella comunità vige la regola di San Benedetto: Ora et labora.

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