Renato Brunetta è riuscito nell’impresa di mettere tutti d’accordo: verdiniani, berlusconiani e fittiani. Tutti, nessuno escluso, sono convinti che l’attuale capogruppo di Forza Italia non debba più stare lì. “L’80% del gruppo esulterà al momento che lascerà”, è il refrain a Montecitorio. Più congeniale una figura come Elio Vito, già capogruppo dal 2001 al 2006, conoscitore dei regolamenti parlamentari come pochi nel Palazzo. Un ritorno al passato, quello di Vito, che certamente vanterebbe un largo consenso riuscendo in questo modo a mediare fra le svariate anime di Forza Italia, in queste settimane più balcanizzate del solito. “Sarebbe molto bravo Elio Vito – sottolinea Maurizio Bianconi – perché è uno che conosce le dinamiche parlamentari”. Altrimenti, chi? Gli altri nomi  che circolano con insistenza sono quelli di Maria Stella Gelmini, oggi vicecapogruppo vicario, o della zarina Mara Carfagna. L’outsider, invece, si chiama Saverio Romano, che però si porta sulla spalle una croce: essere uno dei fedelissimi di Raffaele Fitto. A ogni modo il boccino resta in mano a Silvio Berlusconi, tornato a occuparsi a tempo pieno del partito e delle regionali, dopo l’assoluzione nel processo Ruby. Ma l’ex Cavaliere starebbe resistendo alle sirene interne che chiedono un cambio ai vertici del gruppo di Montecitorio.

Di certo, nel faccia a faccia tra l’ex premier e il plenipotenziario Denis Verdini, quest’ultimo ha insistito sulla necessità di votare un nuovo capogruppo alla Camera per verificare se Brunetta ha i numeri e il consenso. Troppo barricadera la linea assunta dall’attuale capogruppo forzista, “il  suo approccio professorale – è l’accusa delle truppe di Verdini – non porta da nessuna parte: non è affatto diplomatico”. E ancora nel documento firmato da 17 parlamentari prima del voto sulle riforme, ribattezzato come un documento verdiniano ma che aveva al suo interno anche deputati come Laura Ravetto e Luca Squeri, uno dei punti aveva come obiettivo Brunetta: “Siamo altresì persuasi – si legge – che la conduzione del nostro gruppo parlamentare mostri quotidianamente un deficit di democrazia, partecipazione e organizzazione… Come dimostra questo documento il gruppo non né unito né persuaso nella linea che è stata scelta”. A confermare questa tesi lo dice senza peli sulla lingua il toscano Maurizio Bianconi: “Il ruolo di capogruppo non esattamente il suo mestiere: è come se mettessero me a fare il sottosegretario all’Istruzione”. La maggioranza del gruppo, che comprende svariati big del partito di Berlusconi – da Gelmini a Fitto, passando per Carfagna e Verdini – lamenta una gestione autoritaria e, allo stesso tempo, “invasiva” da parte di Brunetta perché “ha una impostazione tecnica e non politica e le scelte non vengono concertate”.

A partire dalla gestione editoriale e contenutistica del Mattinale. L’house organ del gruppo parlamentare a Montecitorio è semplicemente il risultato dei suoi “famigerati” briefing mattutini con il suo staff. Nessuna riunione e nessun confronto con gli altri esponenti di piazza San Lorenzo in Lucina. E questa cosa non va proprio giù ai colleghi di partito, tanto che uno di questi chiedendo l’anonimato suggerisce a ilfattoquotidiano.it di “verificare sul sito dell’ufficio brevetti e marchi del ministero dello Sviluppo economico la registrazione del marchio il Mattinale”, che dopo attente verifiche risulta un marchio di proprietà proprio di Brunetta. Peccato che sulla homepage dell’house organ campeggi in bella mostra la scritta “a cura del gruppo Forza Italia alla Camera”. Un’ulteriore arma che i detrattori di Brunetta useranno quando si tratterà di verificare il consenso dell’attuale capogruppo forzista.

@GiuseppeFalci

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