Le imprese impossibili sono sempre affascinanti. Ma uscita dall’hotel di Ginevra in cui, alla vigilia del Salone, si teneva l’intervista collettiva ai vertici della Borgward, oscillavo fra la tentazione di credere allo straordinario rilancio di una Casa morta all’inizio degli anni 60 e il più cupo scetticismo. Il piano illustrato dall’amministratore delegato Karlheinz L. Knöss è così ambizioso che, se si realizzerà, il “caso Borgward” entrerà di diritto nella storia dell’auto: prendere un marchio semisconosciuto a chi ha meno di 70 anni – checché ne dicano i responsabili, secondo i quali il nome è ancora arcinoto – e arrivare a vendere 800.000 auto l’anno nel 2020, 1,6 milioni nel 2025. Che sarebbe come dire fare i volumi dell’Audi nel giro di 10 anni.

Per giunta, non assemblando un’auto “Frankenstein” con componenti comprati dagli altri costruttori, ma progettando piattaforme e motori ad hoc. “Il nostro è un programma enorme, e lo stiamo portando avanti alla tedesca, con un business plan rigoroso”, dice l’ad Knöss, un passato in Daimler e in General Motors. “Con Christian ci stiamo lavorando da 10 anni”, ammicca al silenziosissimo presidente Christian Borgward, nipote del fondatore del marchio e promotore del rilancio. Knöss rivela che “migliaia di persone” sono impiegate nel progetto costato “miliardi di euro di investimenti”, ma si rifiuta di rivelare la cifra raccolta da non meglio precisati “investitori”. Sul mercato, la Borgward vuole vendere auto “premium ma accessibili” riconoscibili in tutto il mondo come tedesche: un aggettivo particolarmente apprezzato in Cina. La sede della Casa, provvisoriamente in Svizzera, sarà infatti a Stoccarda.

Se non sulla progettazione, la Borgward risparmierà almeno sulle fabbriche. “Produrremo in ogni mercato in cui venderemo”, dice Knöss. “Avremo in ogni Paese un partner forte che ci permetterà di entrare più velocemente sul territorio e che si occuperà anche delle concessionarie, della distribuzione e della logistica”. Obiettivi principali, la Cina (dove si vocifera un accordo con la Foton), l’India, l’America, del Nord e Latina. Ma anche l’Europa, dove Knöss fa intendere che dovrebbero concludersi circa un quarto dei contratti.

Salone Ginevra 2015 Borgward

Per iniziare, la Borgward deve farsi conoscere. Al Salone di Ginevra, che chiude i battenti oggi, la Borgward ha affittato un grande strand anche se non ha nulla da mostrare, se non il logo dal design rinnovato e una Isabella d’epoca. Niente di più. Al Salone di Francoforte di settembre, invece, dovrebbe debuttare il primo modello, una Suv: un tipo di veicolo che negli anni d’oro della Borgward non esisteva nemmeno. Sarà della taglia dell’Audi Q5 e “non avrà un aspetto rétro”, garantisce il responsabile del design, Einar J. Hareide, il norvegese ex capo dello stile Saab.

Non si tratterà di una concept car, ma di un modello di serie: fra lo stupore dei giornalisti, l’amministratore delegato Knöss annuncia che la Suv Borgward andrà in vendita fra la fine del 2015 e l‘inizio del 2016. Il che significa che la produzione sta per partire e che il modello ha superato la progettazione, i test su strada e l’omologazione senza che nessuna notizia filtrasse sino agli organi di stampa. E poi, come se non bastasse, Knöss promette “almeno due nuove auto ogni anno”: il secondo modello si vedrà a marzo 2016. Conscio dello scetticismo del suo piccolo pubblico, Knöss conclude assicurando che, nella Borgward, si gioca la reputazione. Lui ci crede, questo è certo. Ma per convincere il mercato, l’azienda deve sbilanciarsi con qualcosa di più di un logo e tante parole: giudizio rimandato a settembre.

Nella foto sotto, da sinistra, il presidente Christian Borgward, il responsabile del design Einar J. Hareide e l’amministratore delegato Karlheinz L. Knöss

Christian_Borgward_Einar_Hareide_Karlheinz_Knoess

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