C’è una differenza di genere, con le donne in netto svantaggio (manco a dirlo!) rispetto agli uomini, anche nell’ambito della cosiddetta Terza età. Si può leggere tra i dati di una ricerca statistica divulgata nell’ambito del convegno “Invecchiare attivamente per prevenire il disagio: risultati di una ricerca svolta sul territorio milanese“. Attraverso quanto raccolto dall’Osservatorio 65 plus, che ha girato un questionario di decine di domande a un campione di quasi 90 anziani della provincia di Milano, è stato sfatato un mito: la fortuna, tutta femminile, di avere vite più longeve rispetto ai mariti, ai parenti e agli amici maschi. Le donne sopravviveranno anche più a lungo, ma nel complesso risultano meno ricche, meno felici e meno realizzate.

Soprattutto da un punto di vista economico la vecchiaia, quando è femmina, è più complicata da mandare avanti. Le donne, quando erano giovani, hanno accumulato meno risorse, sono state impiegate in lavori (quando hanno avuto la fortuna di averne uno) meno rinomati e quindi peggio pagati dei loro coscritti uomini; per cui oggi devono accontentarsi di pensioni meno ricche e barcamenarsi in un bilancio famigliare certamente molto complesso da far quadrare di mese in mese.

Questa ricerca, che riguarda il mondo della terza età nel suo complesso, è l’ennesima conferma di un dato di fatto italiano, molto triste e davvero deludente: le forti differenze di genere che sussistono nell’economia, nella politica e nella vita sociale del nostro Paese, con la conseguente condizione di generale inferiorità a cui è costretta la donna. Una conferma deprimente, che arriva un paio di giorni prima dell’8 marzo del 2015.

Contro tutto questo arriva però, in queste stesse ore, la risposta orgogliosa – sicuramente sui generis, ma che coglie nel segno – di Laura Boldrini. La Presidente della Camera scrive una lettera in cui invita tutti a un più doveroso rispetto e a una maggiore considerazione delle donne, partendo dalle parole, dai titoli e dalla coniugazione del nome. La Boldrini vuole un rispetto del ‘genere femminile’ che parta dalle aule dei palazzi della politica. Per cui bando alla parola ‘ministro’ se ci si riferisce a una donna, che dovrà essere appellata ‘ministra’, oppure ‘signora’ presidente o ‘la’ presidente, nel caso ci si riferisca, per esempio alla titolare della Camera.

Secondo alcune ‘colleghe’ di Laura Boldrini, le donne avrebbero però altre priorità, rispetto a quella di sindacare sulla coniugazione dei loro titoli. “È una battaglia simbolica” ha detto Marina Sereni, la vicepresidente della Camera, in quota Partito democratico. Dal canto mio, sospendo il giudizio. Certo è che leggere nella lettera di Laura Boldrini, al di là della questione del titolo declinato al maschile o al femminile, frasi del tipo: “che il rispetto e l’uguaglianza di genere vengano insegnate a scuola”, mi porta a protendere senza tentennamenti a favore della battaglia avviata dalla presidente della Camera.

È vero però che è molto più grave scoprire il perdurare di certe discriminazioni, a partire da quelle legate alla condizione economica; io credo quindi che prima di tutto si debba agire per superare la difformità più amara e vigliacca, quella del gap salariale tra uomo e donna, sempre e comunque a vantaggio del primo e contro gli interessi della seconda.

Poco importa che siano solo di principio o simboliche le battaglie che Laura Boldrini ha deciso di condurre. Quel che conta è sollevare il velo – se possibile non solo a ridosso dell’8 di marzo di ogni anno – sulla condizione di inferiorità femminile e lottare per annullarla. Come abbiamo visto, certe differenze si cronicizzano e poi, con gli anni, si pagano. Le donne sono destinate a vivere una vecchiaia più triste, anche se più longeva; ma non c’è nessuna colpa o manchevolezza che debbano scontare, per essere destinate a questo. È loro diritto essere felici, ricche e soddisfatte quanto i maschi!

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