Sedute che si aprono e si chiudono in pochi minuti. Giusto il tempo di prendere atto che è il caso di rinviare. Altre che si dilungano all’inverosimile, tra pratiche dilatorie e disquisizioni tecniche. C’è perfino chi, come Carlo Giovanardi (Area popolare), sostiene che l’entità e la gravità dei «fenomeni corruttivi» siano «sovradimensionate», e di conseguenza lo siano le nuove sanzioni previste. E così, in quel Vietnam che è diventata la commissione Giustizia del Senato, sta per compiere due anni il disegno di legge in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio (primo firmatario Pietro Grasso), presentato il 15 marzo 2013. Provvedimento che, dall’inizio dell’anno, ha tirato ulteriormente il freno a mano. Innescato, innanzitutto, dall’ostruzionismo di Forza Italia. Ma anche dal via vai di annunci, indiscrezioni e ritardi collezionati nelle ultime settimane dal governo sull’atteso emendamento al falso in bilancio anticipato dalla stampa ma non ancora trasmesso al Senato.

Nella seduta del 24 gennaio, riporta il resoconto stenografico della Commissione giustizia del Senato, Giovanardi è intervenuto lamentando “atteggiamenti palesemente sopradimensionati sia nella rappresentazione dell’entità e della gravità dei fenomeni corruttivi, sia conseguentemente nella proposta di modifica al vigente quadro sanzionatorio”. Poi se l’è presa con il dato spesso utilizzato per dare una dimensione del costo annuo delle tangenti in Italia: 60 miliardi di euro. Queste presunte sopravvalutazioni, continua il senatore di Ap (quota Ncd), “sono connesse anche a dati ormai di comune utilizzo nel dibattito pubblico che non hanno però nessun riscontro oggettivo nella realtà, come ad esempio l’affermazione per cui la corruzione costerebbe al pubblico erario 60 miliardi di euro ogni anno”. Che il dato sia poco fondato lo dicono da tempo molti studiosi. Anni fa l’Onu stimò che la corruzione “valeva” il 3% del pil mondiale, e la cifra fu semplicemente traslata nel caso italiano. Ma che sia “sovrastimato” è solo un’idea di Giovanardi, mentre chi studia il fenomeno si limita a dire che per sua natura la cifra è difficilmente quantificabile. Sono invece le cronache, dalle grandi inchieste come Expo e Mose alla miriade di episodi che coinvolgono funzionari locali, a dare il quadro dell’emergenza. Oltre alle classifiche intenazionali.

VOTI A RALLENTATORE. L’ennesimo cortocircuito nell’esecutivo che ha finito per fornire, questioni di merito a parte, anche un ulteriore argomento a chi, in commissione, sta in tutti i modi cercando di dilatare i tempi dell’esame. Che ieri, in quasi due ore e mezzo di seduta, ha registrato in tutto 6 votazioni. Certo, meglio di martedì, quando più o meno nello stesso tempo ci si era fermati a 2, ma non abbastanza per poter parlare di un cambio di passo che, al contrario, continua a rimanere decisamente lento. Un andazzo che va avanti dall’inizio dell’anno. Basta dare un’occhiata agli stenografici della commissione per farsene chiaramente un’idea. La prima seduta del 2015, quella del 7 gennaio, si chiude in un amen. Giusto il tempo di fissare il termine per la presentazione dei sub-emendamenti agli emendamenti del governo al 19 gennaio. Data che slitterà al 3 febbraio: altra riunione lampo. Gabriele Albertini (Area popolare) fa presente che il relatore Nico D’Ascola (pure lui di Ap), «non ha ancora preparato i pareri sulle proposte emendative» chiedendo pertanto «un breve differimento dell’esame». Accordato. Si torna in aula il giorno dopo. Stavolta è lo stesso relatore a chiedere «un breve differimento dell’esame al fine di poter completare la predisposizione dei pareri sugli emendamenti». Ci si ritrova il 10 febbraio: altra seduta lampo. Il presidente della commissione, Francesco Nitto Palma «propone di esaminare in forma congiunta» anche il disegno di legge Lumia «recante modifiche al codice penale in materia di trattamento sanzionatorio dei delitti di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione e usura». La commissione conviene e l’esame è rinviato.

EMENDAMENTO FANTASMA. Si riprende il 17 febbraio. Quando irrompe sulla scena il giallo dell’emendamento del governo. E’ ancora il presidente della commissione Giustizia ad intervenire per «chiedere alcuni chiarimenti al rappresentante del governo in ordine ad alcune recenti pubblicazioni di stampa». In particolare per chiedere «se abbia un fondamento la notizia» che l’esecutivo «intenda presentare direttamente in Assemblea, dopo che la commissione avrà concluso l’esame del provvedimento in titolo, un nuovo emendamento in materia di false comunicazioni sociali». Ipotesi che fa infuriare Nitto Palma: «La presentazione in Assemblea di nuovi emendamenti costituirebbe un vulnus all’attività referente della commissione cui spetta in via principale ogni tipo di istruttoria ed approfondimento sulla materia in questione, né una simile condotta apparirebbe conforme con il principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato elaborato dalla giurisprudenza costituzionale». Il vice ministro Enrico Costa, presente in Aula, conferma che «presso gli uffici legislativi del governo è in corso un rilevante approfondimento sulla tematica del cosiddetto falso in bilancio, che probabilmente si concluderà con una ulteriore proposta emendativa. Tuttavia, poiché l’emendamento non è stato ancora redatto e il provvedimento in esame è già calendarizzato per l’Aula di Palazzo Madama, allo stato intenzione del governo è di presentare la proposta emendativa per l’esame in Assemblea». Poi inizia il voto degli emendamenti: la commissione ne vota e ne respinge 12.

OSTRUZIONISMO AZZURRO. Ci si aggiorna all’indomani, il 18 febbraio. I senatori di Forza Italia Malan, Falanga e Caliendo si alternano ripetutamente negli interventi. Al punto che il grillino Mario Giarrusso è costretto ad intervenire «per lamentare l’andamento dilatorio dei tempi della discussione». Si votano in tutto 6 emendamenti: 4 respinti, 2 approvati. Prossimo appuntamento al 24 febbraio. Riparte la girandola degli interventi. Si comincia dall’emendamento 1.20 del Movimento 5 Stelle che chiede di elevare da 5 a 6 anni la pena massima per il reato di corruzione in atti d’ufficio. Forza Italia si scaglia contro il provvedimento: «Non comporta la deterrenza del fenomeno». Ma il testo è approvato. Riprende la girandola degli interventi della pattuglia azzurra. Stavolta sono Caliendo e Falanga a prendere la parola. Insomma, l’ostruzionismo prosegue. «Scaturito dal mancato deposito in commissione del preannunciato emendamento governativo sulle false comunicazioni sociali» (il falso in bilancio) assicura Nitto Palma. Bilancio finale della seduta: 3 emendamenti approvati, 7 respinti (tra cui 3 sub-emendamenti), 7 accantonati e 2 preclusi. Il 3 marzo si batte ogni record: appena due emendamenti votati. Sono quelli del M5S sull’introduzione dell’agente provocatore (respinto) e la disciplina delle operazioni sotto copertura (accantonato). «Ma sto valutando se riformularlo», annuncia il grillino Maurizio Buccarella autore delle due proposte di modifica.

GOVERNO SOTTO ACCUSA. Il resto è cronaca recente. Di ieri. «Noi di Forza Italia stiamo facendo opposizione su tutto, intervenendo tutti a turno», spiega il senatore azzurro Franco Cardiello uscendo per qualche minuto dall’Aula della Commissione. «Anzi, più che opposizione direi ostruzionismo, che non è mica una parolaccia», precisa correggendosi orgogliosamente più tardi a seduta conclusa. La contrarietà, ovviamente, è nel merito del provvedimento. Sempre ieri la pattuglia dei senatori azzurri aveva presentato un emendamento soppressivo (bocciato) all’articolo tre del testo presentato dal relatore che prevede, per l’imputato di corruzione la possibilità di patteggiare la pena solo previo «pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio appartiene». Una sorta di pena accessoria che lascia, inoltre, «impregiudicato il risarcimento del danno». Blitz fallito che non impedisce a Lucio Malan di puntare il dito contro l’atteggiamento dell’esecutivo causa, a suo avviso, dell’ostruzionismo del suo gruppo. «Il governo del dittatorello fiorentino ha annunciato tre settimane fa un emendamento che a oggi ancora non si è visto, eppure un mediocre senatore ci metterebbe qualche ora per redigerlo – accusa –. L’esecutivo ha in mente di eliminare il Senato, ma finché c’è le leggi si continuano a fare anche qui». Alla fine ci si ferma a 6 votazioni.

STALLO E POLEMICHE. «L’ostruzionismo di Forza Italia si è fatto più morbido», scherza a fine seduta il presidente Nitto Palma paragonando il traguardo quotidiano al magro bottino del giorno precedente. Ma c’è poco da scherzare. Poco dopo, lo stesso presidente della commissione piazza l’affondo in Aula rivolgendosi direttamente a Grasso: «Lei sa come la Corte costituzionale abbia sancito il principio della leale collaborazione fra organi dello Stato. Non si può tollerare che un emendamento così fortemente atteso» e che sta «ritardando i lavori non venga consegnato alla Commissione e venga veicolato alla stampa. Non è possibile apprenderlo leggendo indiscrezioni» giornalistiche. Rilievo, d’altra parte, condiviso qualche minuto prima nei corridoi della commissione Giustizia anche da Felice Casson del Pd: «L’emendamento? Sembra che ce l’abbiano solo i giornalisti». Battute a parte, resta una domanda: come mai il testo, consegnato martedì al ministro per i Rapporti con il Parlamento, non è stato ancora depositato? Il vice ministro della Giustizia Enrico Costa, a fine seduta è scuro in volto. I cronisti gli rivolgono la domanda, lui dribbla taccuini e microfoni lasciando il Senato senza risposta.

Twitter: @Antonio_Pitoni

Aggiornato dalla redazione web

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