Taranto come Pittsburgh e Bilbao grazie alla conversione il modello industriale della città dell’Ilva per garantire nuova occupazione e cancellare le emissioni nocive che hanno generato “malattia e morte”. E poi le intercettazioni dell’inchiesta “Ambiente svenduto“, i risultati delle perizie e dello studio Sentieri fino alla cronaca puntuale dei fatti che hanno sconvolto il capoluogo ionico negli ultimi anni. Good Morning Diossina, il libro di Angelo Bonelli sul disastro ambientale di Taranto, però, non è solo un compendio dei fatti e delle proposte per uscire dall’economia della diossina: contiene documenti inediti come la lettere che i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Lecce inviarono al ministero dell’ambiente nel luglio 2011 evidenziando le anomalie di una fabbrica a cui non poteva essere rilasciata l’autorizzazione integrata ambientale. Una lettera ignorata dal dicastero guidato allora dalla berlusconiana Stefania Prestigiacomo che firmò l’atto pochi mesi dopo. Documenti che “dimostrano la responsabilità della pubblica amministrazione  – spiega Bonelli – che sapeva dell’inquinamento e che non solo lo fermava, ma autorizzava Ilva a continuare quello che aveva sempre fatto: produrre e inquinare”.

Nelle 236 pagine edite dalla fondazione Verdi Europei, che dal 23 febbraio sono disponibili gratuitamente qui, non c’è solo la cronistoria dei fatti che hanno portato Taranto a diventare priorità dell’agenda politica dopo decenni di abbandono. Bonelli, infatti, ha scelto di raccontare anche le piccole ma emblematiche storie quotidiane, spesso tragiche, di chi ha dovuto fare amaramente i conti con l’acciaio. Come la storia di Alessandro Rebuzzi, il guerriero dell’aria pulita che urlava con gli studenti nelle manifestazioni davanti al palazzo di giustizia il suo sostegno alla magistratura, ma che non è riuscito a vedere i risultati raccolti dalla procura perché ucciso da una fibrosi cistica a soli 16 anni. O quella di Lorenzo “Lollo” Zaratta, morto a 5 anni dopo aver combattuto contro un tumore al cervello. O ancora quella di Stefania Corisi che ha perso il padre Peppino e il marito Nicola Darcante nel giro di pochi anni: entrambi operai dello stabilimento siderurgico strappati alla famiglia dalla malattia.

Ma Taranto “non è solo la città dove l’inquinamento toglie la vita – ha spiegato Bonelli – ma anche quella  dove la disoccupazione è tra le più alte d’Italia. E’ la città dove le cozze vengono distrutte e dove non si può pascolare per un raggio di 20 chilometri perché la terra è contaminata dalla diossina. Secondo lo studio epidemiologico Sentieri dell’Istituto superiore di sanità, la mortalità infantile a Taranto è aumentata del 21% rispetto alla media pugliese, mentre le malattie tumorali tra i bambini sono aumentate del 54%. Dati che sono simili a quelli di un bollettino di guerra. Perché a Taranto le autorità hanno tollerato negli anni che l’inquinamento da diossina e da metalli pesanti fosse portato a livelli così estremi, determinando enormi profitti e un disastro sanitario senza precedenti?”.

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