Nelle ambasciate italiane all’estero può capitare che la pena per chi sbaglia sia inversamente proporzionale al suo ruolo. Se a commettere l’errore è un dipendente del “front office” viene licenziato, se è un ambasciatore invece viene promosso in qualche missione diplomatica, magari più prestigiosa. È la morale della storia di A.K., dipendente allo sportello dell’ufficio visti all’ambasciata italiana di Tunisi, e Pietro Benassi, ambasciatore prima a Tunisi e ora a Berlino. A. K. ha chiesto che il suo nome non fosse citato perché ora, costretto a rientrare in Italia, sta cercando un nuovo impiego.

La storia comincia alla vigilia della Rivoluzione dei Gelsomini, nel febbraio del 2011. Cinque amici di A.K., impiegato allo sportello del consolato italiano, cercano un modo per arrivare in Italia. Ottenere un visto già di norma è un’impresa quasi impossibile: bisogna avere un referente per il viaggio, disporre già dei biglietti di andata e ritorno e di un alloggio, avere “un’ assicurazione sanitaria con una copertura minima di 30 mila euro per le spese per il ricovero ospedaliero d’urgenza e le spese di rimpatrio” e dimostrare di avere almeno 44 euro al giorno a disposizione per poter soggiornare in Italia. Nei mesi della rivoluzione tunisina era ancora più difficile. A. K. segnala sulla pratica, a penna, una nota: “Conoscenza personale“. Un modo per farla passare avanti e per aiutare i colleghi più alti di grado a raccogliere informazioni sui partenti. “È la prassi ovunque, per quanto non si potrebbe“, spiegano dai sindacati dei dipendenti della Farnesina.

Il problema nasce dal fatto che gli amici di A. K. arrivano in Italia, ma poi non fanno ritorno in Tunisia e oggi vivono da immigrati irregolari in Italia. I dati 2013 del Rapporto Unar sull’immigrazione del 2014 ricordano che ci sono 145.670 persone che sono in Italia con un visto scaduto. Quasi quanto i 170 mila immigrati irregolari arrivati via mare nel 2014, anno che ha visto un incremento degli arrivi del 277%.

A.K. è licenziato in tronco, nonostante il fatto sia capitato anche ad altri. Ma in quel momento è importante che qualcuno paghi, anche se un impiegato con le mansioni di A. K. non dovrebbe essere responsabile del controllo dei documenti, che secondo l’istruttoria sarebbero stati falsi. La sua responsabile Adelaide De Simone, invece, riceve solo una censura e oggi continua a lavorare alla Farnesina “con mansioni diverse a prima”, spiegano dal Ministero degli affari esteri. A.K. ha una tesi: “Sono stato il capro espiatorio per proteggere altri”. Sia Pietro Benassi che Adelaide De Simone sono stati raggiunti via mail per chiedere spiegazioni riguardo il caso A.K. Entrambi hanno delegato il servizio stampa della Farnesina a rispondere. Dal Ministero confermano che Adelaide De Simone sia ancora impiegata per la Farnesina, a Roma, mentre ignorano la storia di un visto concesso direttamente dall’ex ambasciatore di Tunisi Benassi.

L’episodio riguarda il cuoco della residenza, Lassaad Debaghi, che il 7 febbraio 2013 ha fatto domanda di visto per lasciare la Tunisia. La sua carica di cuoco della residenza, la si legge accanto alla scritta “concedere sei mesi visto”. Sotto la sigla “PB“. Di norma, è quasi impossibile ottenere un visto che abbia durata maggiore dei normali tre mesi di visto per turismo. Raggiunto al telefono il 18 novembre 2014, Debaghi conferma: “Sì, ho lavorato a Tunisi alla residenza dell’Ambasciata d’Italia per due ambasciatori. Uno è Pietro Benassi”, spiega. “Ora sono in Francia. Sono stato dieci giorni in Italia poi sono venuto in Francia”, aggiunge. Il visto però è abbondantemente scaduto e Debaghi non è più rientrato in Tunisia. Sul caso di A.K., per la Farnesina Adelaide De Simone ha subito solo una censura perché sostanzialmente sarebbe stata raggirata dal dipendente del front office. Sul caso che riguarda Benassi e il suo ex cuoco, il Ministero non risponde: “Non si può sapere che fine abbia fatto chi ha avuto il visto”. Di nuovo, però, la diversità di trattamento è evidente.

Secondo l’ex dipendente A.K., all’ambasciata di Tunisi ci sarebbe stata una gestione poco trasparente dei visti, tanto che anche a novembre 2014, un anno e mezzo dopo che Benassi ha lasciato Tunisi, ci sarebbe stata una nuova ispezione all’ambasciata proprio per capire cosa continua a non funzionare nell’emissioni dei visti. La Farnesina non smentisce, ma sostiene che l’ispezione sia stata solo normale routine.

Il caso A.K. ha avuto un ricasco politico. Il parlamentare del Partito Democratico Marco Fedi nel 2011 e nel 2013 ha chiesto due volte con un’interrogazione scritta che fosse rivisto il licenziamento di K. e che il lavoratore fosse più tutelato. Entrambe le risposte, la prima a firma di Stefania Craxi, la seconda di Marta Dassù, hanno invece confermato “la correttezza del comportamento dell’amministrazione affari esteri”. L’iter giudiziario ha avuto lo stesso esito per A.K.: sia in primo grado che al Tar (a novembre 2014) è stata confermata la legittimità del licenziamento.

Neanche i sindacati si danno una spiegazione: perché deve pagare solo il lavoratore meno tutelato? I casi di violazioni ben più gravi facilmente dimenticate dalla Farnesina abbondano. L’ultima in novembre: il console nazi-rock Mario Vattani, cantante di un gruppo di estrema destra e frequentatore di Casa Pound, dopo una sospensione di quattro mesi, ha ottenuto dalla Farnesina il ruolo di “Coordinatore per i rapporti tra l’Unione Europea e i Paesi dell’Asia Pacifico sia sul piano bilaterale che multilaterale, a decorrere dal 22 ottobre 2014”. Ora si è anche messo a fare il sindacalista allo Sndmae, il sindacato unico dei diplomatici.

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