La cosa che mi spaventa maggiormente nelle sparate di Gianluca Buonanno in Tv è il fatto che frasi come quella di ieri nella quale l’europarlamentare leghista ha definito i rom “feccia della società”, facciano proseliti. E gli applausi del pubblico in studio a Piazzapulita ne sono una dimostrazione.

Chiunque di noi ha a che fare con i rom nelle nostre città. E chiunque può confermare che la loro cultura può darci fastidio. Quando li vediamo ai semafori li mandiamo a quel paese, se li incontriamo per strada o al supermercato ci teniamo stretto il portafoglio, ci dà fastidio il baccano che fanno e il trattamento che riservano ai figli e alle donne. Diciamocelo: averli vicino è un inferno che vorremmo evitare. Ma anziché lavorare per avviare faticosi processi di integrazione, preferiamo semplificare e addossare tutte le colpe della nostra società a loro, ai rom.

Quello che sta capitando, che è capitato a Roma in piazza del Popolo con l’abbraccio tra Salvini e Di Stefano di Casapound, che è capitato nello studio di Piazzapulita ieri sera, è pericolosissimo.

Diamo per scontato che tutti siamo a conoscenza che il medesimo trattamento che riserviamo ai rom è lo stesso subito dagli immigrati italiani agli inizi del ‘900, come descrive bene Gian Antonio Stella ne L’Orda. Ma il problema fondamentale è la diffusione del razzismo che la nostra società sta subendo. Che si insinua nelle nostre conversazioni e nella nostra cultura. Che stiamo accettando come un fatto ineludibile e scontato.

Bisognerebbe che tutti ci dessimo una rinfrescata rileggendo, per esempio, Come si diventa nazisti di William S. Allen. Un libro che racconta come una tranquilla cittadina tedesca abbraccia il nazismo quasi senza accorgersene, considerandola una cosa ineluttabile e senza capire bene come e perché stia scivolando verso il disastro.

E allora dobbiamo svegliarci, cercando di comprendere che “il razzismo è un veleno sottile e insidioso che si infiltra piano piano nella coscienza collettiva per rendere opinione corrente quello che prima non era nemmeno immaginabile.” come spiegava bene nel lontano 2008 il prof. Piero Ignazi. Dovremmo aver imparato dalla nostra storia che nel momento stesso in cui marginalizziamo un gruppo sociale o etnico, senza fornirgli la necessaria protezione, il passo successivo è privarlo della sua esistenza, preludio di un genocidio.

E se non capiamo che moltiplicare il messaggio grazie alla forza della televisione è ancora più pericoloso, allora facciamo finta di non capire quale potenza abbia quel mezzo. Per questo non bastano le scuse di Formigli o la sua presa di distanza dal pubblico che ha applaudito.

Forse dovremmo riprendere l’idea del filosofo Karl Popper su una “patente a chi fa la tv”. Il filosofo tedesco giustificò questa idea con la costatazione che “la tv è diventata un è diventata un potere troppo grande per la democrazia, nessuna democrazia può sopravvivere se all’abuso di questo potere non si mette fine”. La domanda è: se ci fosse una tale patente, Formigli supererebbe gli esami? Forse no, almeno fintanto continuasse ad invitare persone che lanciano idee razziste e xenofobe, come Buonanno.

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