Corsi iniziati in ritardo, nessun calendario complessivo delle lezioni e poche certezze su tirocinio ed esame finale. Il tutto al prezzo di una rata di 2mila e 500 euro. Per i duecento aspiranti professori iscritti al Tfa, o tirocinio formativo attivo, presso l’Università di Bologna, il cammino è tutt’altro che in discesa. “A quasi un mese dall’inizio delle attività didattiche”, si legge nella lettera che gli iscritti al Tfa di Bologna hanno deciso di scrivere al rettore, “ancora non ci è stato dato né il calendario completo delle lezioni, né sappiamo quando dovremo svolgere il tirocinio obbligatorio (e gratuito) presso una scuola della regione, compreso nell’iter formativo. Non conosciamo nemmeno le date degli esami finali, o il programmi dei singoli insegnamenti”.

Le lezioni sono iniziate a febbraio 2015, a due mesi di distanza dagli esiti della seconda prova del concorso. E ancora, si lamentano gli iscritti, l’organizzazione non ha dato risposte chiare. “E’ il caos – racconta il portavoce del gruppo Jacopo Frey – non solo il Tfa è cominciato molto in ritardo rispetto ai tempi stabiliti dal decreto ministeriale che l’ha istituito, ma a diverse settimane dall’avvio dei corsi non sappiamo ancora quasi nulla di ciò che dovremo fare. Il che è un grosso problema visto che paghiamo una retta da 2.500 euro e molti di noi lavorano per mantenersi, e in questo modo non riescono a conciliare le lezioni con il proprio impiego”. Tanto che c’è chi si è trovato costretto a mettersi in aspettativa, chi si è dovuto licenziare, e chi non sa ancora a cosa dovrà rinunciare per ricevere l’abilitazione a diventare insegnante. “Così chi per esempio già lavora come supplente, o chi ha un altro impiego, ha incontrato molte difficoltà, al punto che qualcuno si è dovuto mettere in aspettativa, o si è licenziato”.

Il Tfa, infatti, venne introdotto nel 2010 tramite il decreto 249 emanato dal Miur, il ministero dell’Istruzione, che prevede che i percorsi formativi per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado “siano articolati in un corso di laurea magistrale biennale, e un successivo anno di tirocinio formativo attivo”, che può essere istituito presso una facoltà universitaria, o un’istituzione artistica, musicale o coreutica che ne siano altresì sedi amministrative. Tra cui, appunto, l’ateneo di Bologna. E attualmente è l’unico percorso abilitativo per diventare docente, se si esclude il Pas, il percorso abilitante speciale, che però è rivolto ai professori con alle spalle già 3 anni di lavoro e un contratto a tempo determinato. Quindi, in pratica, è necessario, sebbene ottenuta la certificazione, resta da vedere quando il governo Renzi bandirà il nuovo concorso per l’assegnazione delle varie cattedre.

Per accedervi le selezioni sono andate avanti per 5 mesi. “Abbiamo dovuto sostenere 3 esami per essere ammessi al Tfa: una prima prova a luglio, una a ottobre, e una terza a novembre, costo complessivo 150 euro. Le graduatorie, quindi, sono state pubblicate a fine gennaio, e chi è passato ha iniziato i corsi a febbraio”. Pagando una retta che va dai 2.432 euro per chi ha versato il corrispettivo in un’unica rata, a 2.500 per chi ha scelto di suddividerlo in due tranche, senza borse di studio e con agevolazioni molto limitate, che riguardano solo gli iscritti con disabilità.

Dalla sua istituzione nel 2010, di Tfa ce n’è stato solo uno, nell’anno 2011/2012, e non è chiaro se in futuro ne verranno avviati altri. Gli iscritti, per ricevere l’abilitazione, devono frequentare almeno il 70% delle lezioni (4 pomeriggi a settimana) e chi ha superato le selezioni, età media tra i 26 e i 45 anni, deve presenziare obbligatoriamente. “Tra noi ci sono pendolari che vengono da tutta l’Emilia Romagna, e magari sono supplenti in scuole a chissà quanti chilometri dalla città, chi ha una famiglia da mantenere, e in questa situazione d’incertezza non è facile”, prosegue il rappresentante degli iscritti. “Non abbiamo nemmeno i permessi per malattia, e tra noi c’è un collega che si è ammalato di polmonite, e che per questo rischia di perdere l’anno. Poi c’è una ragazza incinta, e nemmeno lei ha ricevuto risposte circa eventuali giustificativi per assenza, e un collega precario che viene dal sud Italia che non riesce a trovare casa perché non sa quanto si fermerà in regione. Non sappiamo nulla, ed è incredibile visto che questo non è il primo Tfa a Bologna, e che già nel 2011 si erano verificati gli stessi problemi organizzativi”.

A oggi, tuttavia, le richieste di chiarimento avanzate dai futuri insegnanti all’Università di Bologna e alla Fondazione non hanno ricevuto risposta. “Tutto ciò che ci è stato detto è ‘organizzatevi’, come fosse possibile in queste condizioni – conclude Frey – persino la nostra lettera al rettore Ivano Dionigi è rimasta inascoltata. Noi chiediamo semplicemente di sapere cosa dovremo fare nei prossimi mesi. Siamo già costretti a pagare una retta da 2.500 euro per un’abilitazione che non ci garantisce il lavoro, ma che ci permette semplicemente di passare da una graduatoria a un’altra, aumentando quindi esclusivamente le nostre possibilità di essere chiamati per una cattedra. Non si può affrontare un percorso che dovrebbe formarci come futuri insegnanti in un caos organizzativo simile”.

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