Consiglieri comunali del Partito Democratico di Mantova pronti a rassegnare le proprie dimissioni lunedì 2 marzo, quando l’assise cittadina si riunirà. “Visto che il sindaco Nicola Sodano non intende dimettersi, nonostante le pesanti accuse che pendono sul suo capo nell’ambito dell’inchiesta antimafia della Procura di Brescia, allora ci dimetteremo noi”, ha detto il segretario cittadino e consigliere comunale del Pd, Andrea Murari, durante un incontro sulle mafie al nord organizzato sabato 28 febbraio, presente il senatore Franco Mirabelli della Commissione parlamentare antimafia. “Invito tutti i consiglieri, di minoranza e maggioranza, a fare altrettanto”. Mirabelli ha rincarato la dose: “Trovo incredibile che il sindaco di Mantova sia ancora al proprio posto. Sodano conosce bene le accuse che sono uscite sui giornali e che gli sono state contestate. I consiglieri comunali dovrebbero dimettersi, tutti, per dire chiaramente da che parte stanno”.

Impossibile un dialogo, un confronto politico e amministrativo, dicono quelli del Pd, con un sindaco coinvolto in un’inchiesta su ‘ndrangheta, corruzione, peculato. Ma non sembra esserci unità d’intenti in questo senso. Il segretario provinciale e consigliere comunale di Sel, Fausto Banzi, ha già fatto sapere agli alleati del Pd (insieme i due partiti sostengono il candidato sindaco del centrosinistra Mattia Palazzi) che non li seguirà: “Non sono d’accordo che siano i consiglieri di opposizione a dimettersi, perché penso che dobbiamo fare la nostra battaglia e premere affinché il Sindaco si dimetta. Invito tutti i cittadini a chiedere le dimissioni direttamente presenziando al consiglio comunale del 2 marzo. Lui ha sbagliato non facciamogli un favore”. Anche altri consiglieri di opposizione sembrano non voler seguire i colleghi Dem. Ma lunedì parecchie cose potrebbero cambiare. E si preannuncia un consiglio piuttosto nervoso.

Nella maggioranza, invece, cominciano le prime prese di distanza dal sindaco indagato dopo la pubblicazione da parte della Gazzetta di Mantova delle carte dell’inchiesta Pesci, costola lombarda dell’operazione antimafia Aemilia scattata il 28 gennaio. Intercettazioni, pedinamenti e riscontri di vario tipo disegnano una trama in cui il sindaco della città lombarda si rivelerebbe protagonista solitario e tessitore, insieme all’imprenditore edile di origini cutresi Antonio Muto (in carcere nell’ambito della stessa inchiesta) e all’insaputa dei suoi assessori, di una rete tesa a far pressione sul ministero dei beni culturali e sul Consiglio di Stato per riaprire la lottizzazione Lagocastello. Un insediamento di 200 villette e un albergo in riva al lago di Mantova, in una zona di estremo pregio artistico e ambientale, bocciata nel 2014 dal Consiglio di Stato. Una lottizzazione dove l’impresa di Antonio Muto aveva investito parecchi capitali e iniziato già i lavori di urbanizzazione primaria.

Ma dagli atti dell’inchiesta emergono altri risvolti che mettono il sindaco in una posizione, a dir poco, difficile. Si sommano le accuse di corruzione e peculato. Il sindaco, che ha uno studio di architettura in città, avrebbe anche operato per ottenere importanti lavori per sé. Un pericoloso “do ut des” realizzato a spese della comunità. Tutte accuse da dimostrare, ovviamente, ma ingombranti. Nonostante tutto, il primo cittadino non sembra proprio intenzionato a lasciare la poltrona e dalla propria pagina Facebook lancia segnali rassicuranti: “Ribadisco la soddisfazione per l’estraneità a mafia e ndrangheta (estorsioni, armi etc di cui al primo mese di stampa) e alla corruzione in atti giudiziari. Estraneità da me sempre fermamente dichiarata sin dal primo giorno. In riferimento alla corruzione e peculato. Riconfermo la mia dichiarazione di innocenza su ogni presunto reato o illazione che mi impegnerò a dimostrare agli inquirenti. In particolare nessun rapporto di affari vi è stato in essere con imprenditori durante il mio mandato di sindaco. Ho solo servito il Comune”.

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