Milano, novembre 2015. Expo finisce e toccherà pensare che fare dell’area densamente edificata ad hoc. Non è mica l’esposizione di Parigi del 1889 che lascia in eredità alla città il suo monumento simbolo. I padiglioni rimasti vuoti diventano studi televisivi dedicati a ospitare la crescente marea di food show, show cooking, food demo, food channel, e polpettoni vari e avariati. Si apre la stagione del kitchen reality: i successi dell’autunno sono L’isola degli chef famosi e Il grande fornello.

Masterchef è ormai in declino: gli spettatori lo disertano avendo smarrito la fede nella santissima trinità a cui non riesce più il miracolo pubblicitario e confindustrioso della moltiplicazione dei pani a cassetta confezionati in atmosfera modificata e dei pesci surgelati che sembrano cernie ma dopo che si è sciolto il ghiaccio si rivelano triglie, che di scoglio hanno al massimo le due sillabe iniziali.

I media rilevano l’imprescindibile bisogno della nascita di nuovi mostri e ligi al dovere li creano, come hanno sempre fatto. Con l’aiutino di Expo, il nuovo mostro è bell’e pronto: ecco a voi l’artigiano del food, così umile, così carino, piace a tutti, alla lega, ai renzusconiani, a M5S. I media ce lo mostrano raccogliere erbe selvatiche all’alba, potare viti nottetempo, spolverare formaggi con la furia di una pia casalinga timorata degli acari. Altro che lo chef che passa il suo tempo imbrillantinato in tv mentre una brigata della gleba si affanna in una remota cucina per mantenere gustose le ragioni del suo lustro!

L’artigiano del food è il nuovo eroe, solitario contro tutti, e impossessatosi del microfono grida forte le sue ragioni. Si rischia che la gente le condivida e smetta di mangiare cibo industriale. A difesa dell’industria alimentare che foraggia i media attraverso la pubblicità interviene, a fianco dei media stessi che paventano l’autodistruzione, il legislatore. La fantalegislazione gastrofantastica mira a stroncare sul nascere lo strapotere artigiano. Ma questa è la prossima puntata.

(segue)

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