E Gruppi armati non statali con potere sempre crescente su un numero sempre maggiore di cittadini indifesi: lo Stato islamico arrivato fino alla Libia, Boko Haram in Nigeria, Al Shabaab in Somalia. E’ uno dei punti principali del rapporto di Amnesty international sulla situazione dei diritti umani nel 2014 in 160 Paesi. 

Video di Tommaso Rodano

“Il 2014 è stato un anno catastrofico per milioni di persone intrappolate nella violenza – dice Antonio Marchesi, presidente di Amnesty Italia – La risposta globale ai conflitti e alle violazioni commesse dagli stati e dai gruppi armati è stata vergognosa e inefficace. Di fronte all’aumento degli attacchi barbarici e della repressione, la comunità internazionale è rimasta assente”.

L’organizzazione avverte che, se i leader mondiali non agiranno immediatamente di fronte alla mutata natura dei conflitti e non rimedieranno alle carenze identificate nel rapporto, la prospettiva per i diritti umani nel periodo 2015-­2016 sarà tetra, con popolazioni civili sottoposte ad attacchi, persecuzioni e discriminazioni di gruppi armati, crescenti minacce alla libertà d’espressione e ad altri diritti umani, tra cui le violazioni causate da nuove, drastiche leggi antiterrorismo e da sorveglianze di massa ingiustificate; il peggioramento delle crisi umanitarie e dei rifugiati, con un sempre maggior numero di persone in fuga dai conflitti. Secondo Amnesty durante il 2014 gruppi armati hanno commesso abusi dei diritti umani in almeno 35 Paesi.

Tra i capitoli affrontati da Amnesty i provvedimenti dei governi in materia di risposte alle minacce contro la sicurezza che per l’organizzazione umanitaria non deve mettere “a rischio i diritti umani fondamentali o alimenti ulteriore violenza”. Il Rapporto 2014-­2015 descrive il modo in cui molti governi, nel 2014, hanno invece adottato “tattiche draconiane e repressive”. In Afghanistan, per esempio, si sono ripetute violazioni dei diritti umani da parte della Direzione nazionale per la sicurezza, tra cui torture e sparizioni forzate. In Kenya è stato adottato l’emendamento alla legge sulla sicurezza, normativa repressiva che potrebbe dar luogo ad ampie limitazioni della libertà d’espressione e di movimento. Comunità della Nigeria, già terrorizzate da anni da Boko Haram, sono state ulteriormente esposte alla violenza da parte delle forze di sicurezza, che hanno compiuto uccisioni extragiudiziali, arresti arbitrari di massa e torture.

Le autorità del Pakistan hanno annullato la moratoria sulle esecuzioni e iniziato a mettere a morte prigionieri condannati per reati di terrorismo. In Russia e Asia Centrale persone accusate di reati di terrorismo o sospettate di militare in gruppi islamisti sono state torturate dagli agenti della sicurezza nazionale. Ma ce n’è anche per i Paesi vicini all’Europa e che, anzi, in Europa vorrebbero entrare, come la Turchia: la legislazione antiterrorismo, formulata in modo generico, ha continuato a essere usata per criminalizzare il legittimo esercizio della libertà d’espressione.

Infine la situazione in Italia. Al centro delle preoccupazioni di Amnesty International restano l’assenza del reato di tortura, la discriminazione nei confronti delle comunità rom, la situazione nelle carceri e nei centri di detenzione per migranti irregolari e il mancato accertamento – nonostante i progressi compiuti su qualche caso – delle responsabilità per le morti in custodia, a seguito d’indagini lacunose e carenze nei procedimenti giudiziari. “Durante il semestre di presidenza dell’Unione europea, l’Italia ha sprecato l’opportunità di dare all’Europa un indirizzo diverso, basato sul rispetto dei diritti umani, sul contrasto alla discriminazione e soprattutto su politiche in tema d’immigrazione che dessero priorità a salvare vite umane, attraverso l’apertura di canali sicuri di accesso alla protezione internazionale, piuttosto che a controllare le frontiere” ha dichiarato Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty Italia. “Dopo aver salvato oltre 150mila rifugiati e migranti che cercavano di raggiungere l’Italia dal Nord Africa su imbarcazioni inadatte alla navigazione, a fine ottobre l’Italia ha deciso di chiudere l’operazione Mare nostrum – continua Rufini – Avevamo chiesto al governo, e lo stesso primo ministro si era impegnato pubblicamente in questo senso, di non sospendere Mare nostrum fino a quando non fosse stata posta in essere un’operazione analogamente efficace, in termini di ricerca e soccorso in mare. Le nostre richieste non sono state ascoltate, con le conseguenze ampiamente previste di nuove, tragiche morti in mare, nonostante il pieno dispiegamento dei mezzi e l’impegno della Guardia costiera italiana, lasciata pressoché sola dalla comunità internazionale”.

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