Alle 11 il gruppo scivola nel campo nomadi di via Negrotto, a Milano. Una cinquantina di persone in tutto, tra poliziotti in tenuta antisommossa, giornalisti e (pochi) militanti leghisti: tutti a proteggere come una corazza Matteo Salvini, che da qui – tra queste case di legno prefabbricate e baracche abitate fin dal ’67 da rom per la maggior parte italiani – è tornato a chiedere al Comune “la chiusura” dell’insediamento che si trova alla periferia nord del capoluogo lombardo. In mezzo a case popolari, stradoni, viuzze e a due passi da un asilo, vicino al quale, il 22 dicembre 2014, venne trovato un kalashnikov.

Durante il “tour”, il leader del Carroccio è scortato passo dopo passo da una ventina tra agenti del reparto mobile e gli uomini della Digos. La paura è che vadano in scena le immagini viste a Bologna l’8 novembre 2014, quando la macchina del segretario leghista venne assalita da alcuni militanti dei centri sociali che contestavano la visita di Salvini al campo nomadi. Il copione non si ripete. Di antagonisti nemmeno l’ombra. Il segretario si becca solo qualche insulto: una decina di giovani si raduna nel cortile dei casermoni di via Blivio e prende di mira la “sfilata” di poliziotti e cronisti che accompagnano Salvini poco prima dell’ingresso in via Negrotto. “Sei una merda”. “Fate ridere”. “Razzista”. Finisce qui. 

(video di Francesca Martelli)

Anche dentro il campo la tensione corre al minimo. A stupirsi sono per lo più due bimbi rom che gironzolano intorno al formicaio di giornalisti e poliziotti e non si spiegano tutto quel via vai. Hanno una decina di anni, vengono guardati con sospetto da due militanti del Carroccio di mezza età che si danno di gomito: “Occhio al portafoglio, questi non li possono arrestare: sono minorenni”, ridono. Poi l’attenzione dei due si concentra su un furgone parcheggiato fuori da una baracca: “Su questi ci caricano il rame rubato, sicuro”. Nel giardinetto trascurato di una casa in legno è parcheggiata una bella Audi blu. “E questa come l’avete comprata?”, chiede una signora sulla sessantina che abita nel quartiere. Al segretario racconta di essere “esasperata da questa gente che non lavora: ruba e basta”. Non è l’unica a lamentarsi. Bastano due domande in giro per il quartiere e la risposta degli abitanti, italiani o stranieri, è la stessa: “E’ una situazione insostenibile, i furti sono continui”.

La “processione” di Salvini si ferma ogni 20 metri a intervalli regolari. Il segretario parla di rom, degli incidenti a Roma, della minaccia terrorismo, dell’alleanza con Berlusconi. Le telecamere lo sovrastano, i giornalisti si ammassano, i poliziotti aspettano. “Sono qui per ribadire che per quanto mi riguarda i campi rom non ci sarebbero”, dice. “Diritti e doveri sono uguali per tutti. Visto che sono italiani, la casa la comprano e fanno un mutuo come tutti gli altri: ma non esiste vivere abusivamente. Bisogna fare gli sgomberi come fanno in Svizzera e in Austria”. Intorno al capannello si radunano alcune donne rom, gli uomini non si vedono, i ragazzi sono incuriositi ma stanno alla larga.

La più “agguerrita” è una signora sulla sessantina: “Dateci un lavoro, vogliamo lavorare”. Salvini la ascolta. Il “siparietto” è manna per microfoni e telecamere. “Lo so che non c’è lavoro, ma bisogna che anche qui ci sia la cultura della legalità” e precisa “Io demolirei tutti i campi rom, non solo questo, ma state tranquille, tanto c’è Pisapia”. Finisce con una impercettibile stratta di mano tra il leghista e la rom. Poi un invito: “Torni a trovarci quando vuole, anche senza telecamere”.

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