Attenzione! È in arrivo un referendum, anche se nessuno se n’è accorto, né ne sentiva l’urgenza. Un referendum regionale per chi vive nella Padania lombarda. Promosso e voluto non da gruppi di cittadini, ma dal presidente in persona della Regione, quel Roberto Maroni che è passato dalla guida della Lega al governo della Lombardia. Un referendum che viene dall’alto dei cieli.

La (lunga) domanda che troveremo sulla scheda, a cui rispondere sì o no, è la seguente: “Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione?”. Tradotto (per la serie parla come mangi): volete che la Lombardia sia più autonoma, ma per carità restando in Italia e senza disturbare nessuno? Certamente sì: una cosa bella e buona non si rifiuta. Ma che cosa vuol dire “più autonoma”? Non si sa. In concreto, niente. Maroni era partito chiedendo di far diventare la Lombardia una Regione a statuto speciale. Irrealizzabile. È allora approdato a una formulazione anodina per un referendum sostanzialmente inutile.

Quando si farà? Entro 180 giorni dall’approvazione della legge. Ma siccome c’è Expo e non si vuole incrociare referendum e grande evento, se ne riparlerà nel 2016. Favorevoli: Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia. Contrari: Pd e Patto civico di Umberto Ambrosoli. Il Movimento 5 stelle ha dato il suo assenso al referendum, in cambio della promessa che si introdurrà il voto elettronico. Ha avuto da Maroni quello che chiedeva: “Con il referendum elettronico abbiamo dato le chiavi della Lombardia ai cittadini”, dicono ora trionfanti i Cinquestelle.

Vedremo. Intanto, però, finché si metterà a punto il sistema e lo si sperimenterà, passerà chissà quanto tempo. Costo della consultazione: 30 milioni di euro, secondo Maroni. Ma la cifra, dice il M5s, con il voto elettronico si dimezza (anche se voglio vedere quanto costeranno, nell’Italia degli appalti e delle gare truccate, l’hardware e il software per introdurlo).

Ma il problema vero è: a che cosa serve sto referendum? Se vincono i sì, che cosa succede, danno poteri speciali alla Lombardia? E se vincono i no, gliene tolgono? No, naturalmente. Tutto andrà avanti come prima. La Regione potrà chiedere che alcune materie in cui la Regione è ora “concorrente” con lo Stato (dalla tutela dell’ambiente alla sicurezza del lavoro, dalla protezione civile alle casse rurali e banche locali) diventino di esclusiva pertinenza regionale. La verità, però, è che la Lombardia, come tutte le altre regioni, di autonomia, di potere e di soldi ne ha già tantissimi. Ma (come le altre regioni) non li ha usati affatto bene. La sanità, per esempio, che è la partita in cui le regioni hanno i budget più alti, è stata negli anni scorsi, in Lombardia come altrove, scossa da una sequela infinita di scandali, ruberie, tangenti (tanto che è sotto processo perfino il predecessore di Maroni, il Celeste Roberto Formigoni). I tempi d’attesa per visite ed esami non urgenti restano lunghissimi. E la classe politica regionale (in Lombardia come altrove, do you remember Er Batman?) si è dimostrata la più corrotta e meschina, a rubacchiare anche sulle bibite al bar.

E allora, di che autonomia parliamo? Il referendum pare soltanto l’ideuzza di marketing con cui la Lega di Maroni, arrivata impugnando le scope dei barbari sognanti, cerca di coprire un rinnovamento radicale promesso e mai arrivato.

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