Il governo Letta sicuramente non sarà ricordato per esser stato l’esecutivo più incisivo della storia, né il più efficace e né il più longevo, ma un merito gli va riconosciuto: con l’operazione Mare Nostrum della Marina Militare sono state salvate dalle onde del Mediterraneo più di 155mila persone. I dati parlano chiaro: in un anno di attività e di pattugliamento, tante vite sono state tratte in salvo, ma tanti corpi si sono depositati sui fondali del canale di Sicilia e del golfo della Sirte. In 3400 non ce l’hanno fatta nel 2014, più della somma dei morti dei quattro anni precedenti. I numeri, oltre ad essere come sempre eloquenti, sono anche crudelmente concreti.

Il 31 ottobre 2013 Mare Nostrum va in pensione. Gli subentra Triton, a conduzione Ue, senza l’intenzione di sostituire l’operazione intrapresa dall’Italia nei precedenti dodici mesi. Le differenze sono abissali, sia nei mezzi impiegati che nei risultati: i Paesi partecipanti questa volta sono 19, comunitari, mentre prima tutta la responsabilità gravava sull’Italia; il budget mensile stanziato viene ridotto, da circa nove milioni di spesa a poco meno di tre; le forze impiegate sono nettamente inferiori e le aree di pattugliamento notevolmente ridotte. Conseguenza? Si risparmiano un (bel) po’ di soldi, non si risparmiano tante vite umane: nell’ottobre del 2013 la più grande tragedia avvenuta nel Mediterraneo dalla fine della Seconda guerra mondiale aveva sancito l’inizio delle operazioni di Mare Nostrum; nel febbraio 2014 un’altra tragedia, per numeri di perdite non di molto inferiore a quella del 3 ottobre di poco più di un anno prima, ci fa capire che di Mare Nostrum c’era, c’è e ci sarà sempre più bisogno.

Le problematiche principali legate al traffico di migranti e alle operazioni ad esso collegate, oltre ovviamente alla ricerca di una via per risolvere i problemi alla radice, nel posto dove nascono e si sviluppano, sono essenzialmente due. Triton è palesemente insufficiente: considerato che i dati sull’immigrazione clandestina mostrano (e mostravano) una tendenza in forte crescita e aumento, come mai si è deciso di impiegare meno risorse e meno mezzi a dispetto di una richiesta di aiuto che andava facendosi sempre più numerosa e forte? Parallelamente, abbiamo osservato come il passaggio di consegne da Mare Nostrum a Triton si sia consumato durante il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea: com’è possibile che, consci della portata e delle dimensioni che il fenomeno avrebbe assunto nell’immediato futuro, considerato anche quello che stava succedendo nel resto del mondo (Siria, Iraq, Libia), a nessuno dall’Italia sia venuto in mente di presentare una riproposizione di Mare Nostrum in chiave europea, con responsabilità, costi e impiego di forze diffusi e condivisi?

Oggi questo mare non è più “nostrum”. È degli scafisti, diventati sempre più crudeli e senza scrupoli nello sfruttamento del commercio di anime in fuga da situazioni di profonda e grave difficoltà; è dei 6000 (dato relativo agli ultimi quattro anni) africani e mediorientali che giacciono sui fondali del Mediterraneo; potrebbe diventare dell’Isis, che si sta velocemente e pericolosamente insinuando nel vuoto politico-istituzionale libico e potrebbe – se non l’ha già fatto – mettere le mani sul barbaro mercato di vite umane che alimenta il fenomeno dell’immigrazione clandestina settimana dopo settimana. Il mare non sarà più nostrum, ma di sicuro non può essere suorum (riferito ai soggetti di cui abbiamo appena parlato).

È il momento di mettere da parte le strumentalizzazioni da propaganda elettorale, affrontare il tema con un serio dibattito internazionale infra-europeo e tornare a essere impegnati sulle acque territoriali e internazionali, presto. Trovare un modo per giungere a una soluzione in Siria e Libia sarà sicuramente determinante, ma – in questa fase e nell’era dei diritti umani – dare un prezzo alla vita di un uomo corrisponde a cadere nel più becero sistema di calcolo economico-politico.

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