ginsbergTralicci ad alta tensione della Pacific Gas tendono cavi sottili sulla pianura, attraversiamo la catena costiera autostrada a 4 corsie, ultimo dosso e poi la vasta apparizione arancio della Baia, Dylan finisce la sua canzone “You’d see what a drag you are”, e il Papa giunge a Babilonia per rivolgere alle Nazioni Unite, 2000 anni dopo la nascita di Cristo, la profezia dell’Armageddon, sospende la Bomba Infernale sulle strade e le città del pianeta, venga la fine anno, luci verdi in zona militare Oakland brillano nel buio della sera. Da base navale Treasure Island bagliore giallastro di attività notturna, migliaia di fanalini rossi sfilano lungo il Bay Bridge, si erge San Francisco su moderne colline, luci di Broadway dardeggiano il Paradiso dei baretti gay, orologio verde del Ferry Building rischiara acque cupe all’Embarcadero, neri strillano alla radio. Bank of America accende insegne rosse sotto piramidi di neon, ecco la città, ecco il volto della guerra, alle 8 a casa allo svincolo dell’autostrada scivolo giù verso City Lights, verso il viso di Peter e la televisione, i soldi e i vagabondaggi futuri.

Quasi cinquant’anni dopo (il testo è del settembre del 1965), Inizio di un poema di questi Stati, una delle prime poesie che compongono La caduta dell’America di Allen Ginsberg (pubblicato in Italia da Il Saggiatore e tradotto da Leopoldo Carra, che cura anche l’edizione, e Luca Fontana), mantiene tutta la sua forza visionaria, dissacrante e di spietata attualità riguardo alla geografia urbana e all’animo umano. Un libro importante che Il Saggiatore riporta in libreria in una nuova bella ed elegante edizione accresciuta, che raccoglie tutti i testi composti tra il 1965 e il 1971 (compreso il lungo Wichita Vortex Sutra), e in una nuova traduzione, con la possibilità di leggersi i brani in lingua originale grazie al testo inglese a fronte.

Nel settembre 1965 Allen Ginsberg è un poeta affermato, già quasi un faro per tutta la controcultura americana. Ha appena varcato il confine tra Canada e Stati Uniti a bordo di un pulmino Volkswagen, quello che di lì a poco diventerà un simbolo di anni speranzosi e tormentati. La meta è San Francisco, al volante c’è l’amico poeta Gary Snyder. In sottofondo, la radio sempre accesa. È la prima tappa di un grande viaggio che in auto, treno, aereo e Greyhound porterà l’autore di Urlo e Kaddish ad attraversare in lungo e in largo l’America, anche coast to coast , secondo il mito fondativo dei primissimi beat. Da una Chicago gotica e tentacolare al sole della California, dal selvaggio Ovest alla provincia più profonda del Midwest, Ginsberg assorbe tutto quello che vede e ascolta. E soprattutto lo documenta, parlando al microfono del registratore portatile Uher che gli ha regalato Bob Dylan.

Il nastro della strada si trasforma in una catena ininterrotta di immagini, messa poi in versi sulla pagina bianca. Paesaggi, persone, luci, cieli, oceani, tutta l’America nella sua varietà e vastità. Trasmissioni radio, pubblicità, bollettini di guerra dal Vietnam. E poi la musica, tanta musica. Dylan, certo, insieme ai Beatles e ai Kinks. Ma anche Frank Sinatra e i Beach Boys. In questo enorme “vortice” capita che il poeta avverta il bisogno di un ripiegamento, ed è allora che, nel tessuto dei versi, alla protesta pacifista, all’indignazione politica si intrecciano i mantra orientali. È qui che affiora il ricordo ed erompe potente l’eros, soprattutto nell’evocazione della giovanile bohème newyorkese e dei due grandi amori perduti, Neal Cassady e Jack Kerouac.

Nel 1974 La caduta dell’America valse a Ginsberg, meritatamente, il National Book Award for Poetry, perché si tratta di un’opera importante per i temi e l’audace lavoro sul linguaggio, non solo nel corpus dell’autore ma in tutta la poesia americana. Sulle orme di Blake, e soprattutto di Whitman – primo antore ufficiale dell’America moderna e dedicatario del libro –, il viaggio fisico si armonizza alla perfezione con quello attraverso i nomi, i luoghi, le suggestioni della grande poesia in lingua inglese. La caduta dell’America non è solo un libro on the road , ma anche un lungo poema epico, di un epos corrosivo, che trascende il dato storico di una stagione mitica cogliendone elementi emotivi, intellettuali e polemici universali. Lo consiglio vivamente, soprattutto agli adolescenti di oggi, nella speranza che lascino da parte le macchinine elettriche con cui cappottano allegramente e le loro cuffie da lobotomizzati, salgano su un treno per qualche dove e mettano nello zaino una copia di questo libro.

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