Una missione di peacekeeping sotto la bandiera dell’Onu e coordinata dall’Italia in terra libica. Sarebbe questa l’ipotesi allo studio di Palazzo Chigi per tentare di ricomporre la frattura che ha dato origine alla guerra civile e far fronte all’avanzata degli jihadisti dello Stato Islamico in Libia. Negli ultimi giorni le istituzioni italiane hanno fatto registrare un’improvvisa impennata di interesse verso la guerra civile che dilania da almeno un anno il Paese, nel quale si susseguono le conquiste territoriali dei fondamentalisti islamici che si ispirano al califfo Al Baghdadi. Una possibilità, quella della missione di pace, su cui gli analisti di diversi quotidiani collocano in un orizzonte temporale ancora lontano: “Obiettivi che per il momento appaiono come una sorta di miraggio“, scrive La Stampa. “I tempi però sono lunghi, l’Onu non ha ancora messo a fuoco il problema e siamo lontani da un consiglio di sicurezza che potrebbe varare la risoluzione ad hoc”, spiegano dalla Farnesina al Messaggero.

Era stato Matteo Renzi il 12 febbraio, giorno seguente all’ennesima strage di migranti avvenuta davanti alle coste libiche, a sollevare il tema a Bruxelles nel corso della riunione informale dei capi di Stato e di governo della Ue. Quella della Libia è “un’emergenza europea” al pari della crisi in Ucraina, aveva sottolineato il presidente del Consiglio, che annunciava: l’Italia è “pronta a fare ancora di più”. Il giorno dopo, il 13 febbraio, al mattino, Angelino Alfano tornava sul tema: “Il presidente Renzi, parlando della Libia, ha individuato il centro del problema – si leggeva in una nota diramata dal ministro dell’Interno – e ancora più è valso farlo in ambito europeo. Oggi, quel Paese è fuori controllo e in preda al caos, con il rischio che si trasformi anch’esso in un califfato islamico”. Poi, nel pomeriggio, mentre le agenzie di stampa battevano le notizie dell’ingresso dell’Isis nella città di Sirte e l’appello a lasciare il Paese lanciato dall’ambasciata italiana ai connazionali, Paolo Gentiloni andava molto oltre: in un’intervista a SkyTg24, il ministro degli Esteri spiegava che l’Italia è pronta a “combattere in Libia in un quadro di legalità internazionale”, sottolineando che “l’Italia è minacciata da quello che sta accedendo in Libia. Non possiamo accettare l’idea che a poche miglia di navigazione ci sia una minaccia terroristica”.

Sui giornali di oggi, 14 febbraio, è Federica Mogherini a lanciare la palla in avanti: “L’Unione Europea ha già individuato misure che possono eventualmente accompagnare e proteggere il processo di formazione di un embrione di governo di unità nazionale in Libia”, spiegava al Corriere della Sera l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, completamente assente nella maratona diplomatica che il 12 febbraio ha portato all’accordo per il cessate il fuoco nell’est dell’Ucraina. “Mogherini è attenta a sottolineare – continua il quotidiano di via Solferino – che ogni iniziativa europea dovrà essere necessariamente subordinata a un minimo d’intesa fra le fazioni in guerra, quella di Tobruk e quella islamista che controlla Misurata e Tripoli. L’offensiva del Califfato aggiunge però caos al caos e rende più difficile il dialogo tra le parti, ponendo un’ulteriore sfida alla comunità internazionale”. “Ho appena parlato con l’inviato speciale dell’Onu per la Libia Bernardino Leon ed il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry per coordinare come procedere”, ha twittato Lady Pesc nel pomeriggio.

Ma la strada, scrive ancora Il Messaggero, è ancora lunga. Leon, principale sostenitore dei colloqui tenuti tra le parti nelle scorse settimane a Ginevra, “sta tentando di mettere i vari contendenti di fronte a un tavolo. ‘Inutilmente’ secondo il governo Renzi che vuole spingere la comunità internazionale a compiere un passo ulteriore convincendo l’Onu della necessità di una risoluzione che autorizzi l’invio di truppe”. Ma i tempi sono lunghi: “Per capire come finirà bisognerà attendere ancora uno o due mesi. ‘Prima è impossibile che l’Onu si muova’, dicono rassegnati a Palazzo Chigi”, conclude il quotidiano romano.

Ma secondo gli esperti, quand’anche prendesse il via, una missione di pace sotto il vessillo delle Nazioni Unite non sarebbe la soluzione. “Un’operazione di peacekeeping o di peaceenforcing in Libia? Difficile se non c’è la pace – spiega in un’intervista a Repubblica Claudia Gazzini, ricercatrice dell’International Crisis Group – o perlomeno un accordo di pace. E purtroppo in Libia le condizioni militari, politiche e di sicurezza sono disperate”.

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