E’ di Mads Nissen la foto dell’anno, riferita al 2014, del World Press Photo. La notizia è quest’oggi e l’annuncio, come vuole la grande macchina organizzativa di uno dei più importanti riconoscimenti nell’ambito del fotogiornalismo, è rimbalzato su tutti i media internazionai. Impossibile non riconoscere la qualità dello scatto di Nissen -seppur molti gli rimproverino un’impronta artistica forse troppo vicina all’artificiosità – che ritrae una giovane coppia gay, Jon e Alex, in un momento intimo, a San Pietroburgo in Russia. “Una foto esteticamente potente e umana” l’ha definita la presidente della giuria, Michele McNally, direttore della fotografia e assistant managing editor del The New York Times che ha aggiunto, freddando le critiche, che la foto vincitrice “deve essere estetica, per avere l’impatto e la potenzialità per diventare iconica”.

Mads Nissen (Danish daily newspaper Politiken) - vincitore assoluto del World Press Photo 2014 - Jon e Alex, una coppia gay russa, in un momento di intimità a San Pietroburgo

Caratteristiche estetiche che di certo non mancano a questo scatto di Nissen che fa parte di un progetto molto più corposo, “Homophobia in Russia”, dove il fotografo danese ha cercato di documentare la vita sempre più difficile delle lesbiche, degli omosessuali e dei transessuali a San Pietroburgo dove le minoranze sessuali subiscono discriminazioni legali e sociali, molestie e anche attacchi di odio e crimine violenti da parte dei gruppi religiosi e nazionalistici conservatori.

Una foto criticabile – come del resto lo è stato lo scatto vincitore dello scorso anno (ricorderemo forse tutti la foto dei migranti africani di John Stanmeyer intenti, con cellulare in mano e alzato verso il cielo, di notte, a ricercare un segnale utile per chiamare le loro famiglie)- e discutibile, forse, ma fino ad un certo punto. Perché chi conosce a fondo il lavoro di Mads Nissen (per dire lo stesso progetto a San Pietroburgo, presente anche sul suo sito web, offre uno spaccato differente del suo lavoro) sa come il fotografo danese sia più attivo sul campo più che dietro ad un pc. Insomma, oltre alle critiche estetiche sulla foto – di cui giustamente ognuno si è ormai fatto una propria opinione- porterei, invece, la discussione sul fatto che per il secondo anno la giuria del World Press Photo – ricordiamolo, premio dedicato al fotogiornalismo – abbia puntato sulla “contemporary issues category” anziché premiare le categorie di news dove erano presenti invece anche scatti sul conflitto in Ucraina o sulla crisi umanitaria causata dall’ebola in Sierra Leone.

Una riflessione di certo importante su quello che sarà il futuro del fotogiornalismo che, comunque, guardando ora a casa nostra, ha certamente raggiunto picchi di altissimo livello con dieci fotografi premiati. Tra questi Fulvio Bugani, Paolo Verzone, Turi Calafato, Giulio Di Sturco, Paolo Marchetti e Massimo Sestini. A cui si aggiungono i nomi di Michele Palazzi e Gianfranco Tripodo di Contrasto (premiati rispettivamente per un lavoro sul processo di modernizzazione della Mongolia e un progetto sui migranti subsahariani a Melilla); Giovanni Troilo dell’agenzia Luz Photo (che si è aggiudicato un premio per un reportage sulla crisi della città industriale belga di Charleroi) e Andy Rocchelli di Cesuralab, ucciso lo scorso maggio in Ucraina, con uno scatto di “Russian Interiors”, un progetto che approfondisce e mostra un lato intimo delle donne russe.

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