“Dopo vent’anni sono libera di tornare a vivere”. Con queste parole, rilasciate a La Stampa, la 53enne Rossella Stucchi ha commentato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, nel Varesotto, che ha ridotto il suo debito con Equitalia da 86mila a 11mila euro. È la prima volta che un giudice riduce l’ammontare di una cartella della società di riscossione e il motivo è molto semplice: la signora non era in grado di pagare una cifra maggiore a quella stabilita. Il Tribunale ha applicato la legge del 2012 sul sovraindebitamento: “Il suo obiettivo – ha spiegato Giuseppe Lacalandra, l’avvocato di Rossella Stucchi – è di permettere ai debitori in situazioni critiche di riacquistare un ruolo attivo nell’economia e nella società”.

Il rapporto di Rossella con il fisco era iniziato nel 1996, quando, sospettata di evasione per l’acquisto di una casa che non si sarebbe potuta permettere, l’allora 34enne si era vista arrivare una sanzione di 5 milioni di lire. Quei soldi però non li aveva e, anno dopo anno, il debito di Rossella era cresciuto fino a diventare di 86mila euro. Equitalia aveva anche deciso di pignorarle la casa e bloccarle il conto corrente bancario.

Quando il suo legale si è presentato davanti ai giudici di Busto, forte della legge sul sovraindebitamento, il Tribunale, scrive La Stampa, “ha messo in fila i redditi della signora Stucchi e valutato quanto le serve per vivere. Poi ha calcolato fino a che punto potrà ragionevolmente onorare il debito e ha messo una riga – invalicabile anche per le temibilissime truppe di Equitalia – a 11 mila euro. Una riduzione dell’87% circa“.

La sentenza, destinata a fare giurisprudenza, potrebbe dare il via a migliaia di ricorsi, considerando che, ad agosto 2014, i debitori per cui Equitalia ha accertato la rateazione, ossia il fatto che il debito si possa spalmare in rate di dieci anni, erano due milioni e quattrocentomila. Per ottenere questa concessione, però, è necessario l’accordo con i creditori: circostanza che invece manca nel sovraindebitamento. Inoltre, ha spiegato l’avvocato Lacalandra, “il giudice valuta il merito creditizio. Da una parte c’è il dolo di chi non paga perché fa il furbo, dall’altra ci sono i casi nei quali è evidente che se un debitore ha sottoscritto prestiti per una cifra esagerata rispetto alle sue possibilità. Quindi parte della responsabilità è di chi il prestito lo ha concesso”, ossia la banca, che di certo ha più strumenti di un cliente per capire se lo stesso è in grado di saldare il debito o meno. Dopo la sentenza di Busto, quindi, si aspettano numerosi ricorsi proprio contro gli istituti di credito.

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