Controlli polizia antiprostituzioneOgni volta che si discute di prostituzione il dibattito si fa rovente. L’abolizionismo è una religione che può essere espressa in forma mite o perfino aggressiva. Mischiata ad altro tipo di fondamentalismo, viene praticata da donne che pensano di saperla un po’ più lunga perfino di chi fa quel mestiere. Borghesi piene di pregiudizi, un po’ contro le coppie gay che si fanno prestare gli uteri per avere figli, un po’ contro il velo delle donne musulmane, un po’ contro le puttane, tutte quante considerate alla stessa stregua di bambine che non sono in grado di decidere per sé. Così il dibattito su una zona rossa a Roma si fa rovente e ripercorre i soliti cliché triti e ritriti che offendono l’intelligenza di noialtre, le femministe che rispettano la soggettività delle altre donne e non si sognerebbero mai di sostituirsi ad esse per pronunciare la nostra parzialità sulle lotte. Con, e non al posto di. Assieme, e non mi sembra neppure una cosa difficile da capire. Fa parte dell’abc delle lotte femministe, o meglio, forse dovrei dire che ne faceva parte, finché un certo femminismo non diventò l’alleato migliore di proibizionismi, autoritarismi e paternalismi di ogni tipo.

E non a caso chi scrive contro la zona rossa romana si trova a citare uomini invece che le prostitute stesse. Almeno consultarle, chiedere che ne pensano. Invece niente. Si pronunciano parole ad effetto. Quella ti parla dell’eiaculazione a spruzzo, l’altra ti ricorda lo scarico del cesso, un’altra ancora spiega che il problema sta nella sessualità maschile, malata, tutta quanta, perché se non fosse così “noidonne” potremmo tenere la vagina chiusa e magari aprirla solo per le feste comandate. Di fatto è noto a tutte che il sesso ci fa schifo, ci fa schifo un pene, schifo l’eiaculazione, e la penetrazione è stupro, diceva quella simpaticona di Andrea Dworkin, femminista radicale statunitense che considerava tutta la sessualità maschile qualcosa da crocifiggere facendo la òla al boia, di sesso femminile, durante una castrazione eseguita in pubblica piazza.

Malati gli uomini, malate le loro voglie, malato il mondo che considera normali i rapporti sessuali vissuti da entrambi i sessi. Però quella presunta malattia, ed è diagnosi oggettivamente offensiva e sessista nei confronti di tutti gli uomini, non viene mai tirata fuori quando si parla di matrimonio. Nel matrimonio le donne stanno tutte bene, così si sposta il problema fuori dalle nostre case. Dove le donne tentano forme varie di emancipazione economica ma non in dipendenza di coniugi e di convenzioni sociali. L’amor borghese però è cosa da difendere, bisogna farlo, per certune, perché altrimenti è la fine della civiltà, e tra tanti luoghi comuni scritti e detti mi trovo a posizionare i miei neuroni in una zona in cui è possibile vedere le cose così per come stanno.

Io chiedo alle donne quel che vogliono fare e, se vogliono prostituirsi, ho il sacrosanto dovere di garantire loro ogni diritto. Devo smetterla di mettere la testa sotto la sabbia e di fare l’ipocrita, così come d’altronde farebbe ogni cattolica antiabortista, fregandosene degli aborti clandestini perché le donne dovranno subire un divieto e perfino qualche punizione. Devo guardare le cose così come sono, interrogando le precarie che usano il sex work per campare e trovare i soldi per studiare, comprare casa, viaggiare, migrare, realizzare un’altra professione un giorno che verrà. Ho il dovere di stare a sentire le donne migranti e di stabilire che se vogliono fare le prostitute io dovrò assicurare loro un permesso di soggiorno che le sottrarrà a ricatti e ritorsioni di ogni tipo. Ho il dovere di stabilire assieme a tutte queste donne cos’è meglio per loro, invece che favorire le speculazioni dell’industria del salvataggio. Perché è ipocrita chi ritiene che al momento tutto vada bene. Ipocrita è chi pensa che oggi non paghino le tasse perché in realtà le pagano eccome. Il fisco tira giù un conto approssimativo delle presunte entrate di una sex worker e stabilisce una cifra maggiorata, in genere, che la sex worker deve pagare.

Ipocrita è chi pensa che le donne siano tutte vittime perché vi basta guardare tra gli annunci di un sito XY e vedrete che ci sono tante donne che lo fanno perché vogliono soldi per traghettare la propria vita altrove. D’altronde, ci sono quelle che traghettano le proprie vite con un matrimonio e altre che lo fanno senza. Quand’è che le femministe lotteranno per chiedere l’abolizione del matrimonio?

E me ne viene in mente un’altra. Le femministe borghesi che si oppongono strenuamente alla prostituzione forse hanno a che fare con delle badanti. Il badantaggio è un lavoro usurante, pesante, è schiavitù al servizio di altre donne che grazie alle schiave si emancipano dai ruoli di cura. Però non è conveniente chiedere l’abolizione del badantaggio. E’ meglio tenere le migranti al servizio delle famiglie perbene invece che a guadagnare cinque volte tanto per una prestazione sessuale. D’altronde poi chi pulisce la casa e chi tiene i bambini di quelle femministe che nel frattempo sono libere di sputare sul web tante certezze? Chi baderebbe ai vecchi mentre le femministe, quelle borghesi, se ne stanno a fare finta di occuparsi dei diritti delle donne? Perché del badantaggio io sento parlare poco, e quando qualcuna ne parla dice che non bisogna colpevolizzare le altre donne perché è tutta colpa del patriarcato. Perciò le lasciamo schiave, ché tanto è stato il patriarcato e allora chissenefrega.

Ma torno alla sessualità “malata” degli uomini e mi chiedo come queste femministe abbiano il coraggio di fare sesso con i loro partner, giacché se la malattia risiede nella sessualità maschile allora nelle loro camere da letto come la risolvono? Li educano facendoli espiare in qualche modo, svelando così la loro preferenza sadomaso da dominatrici inconsapevoli, o passano il tempo a masturbarsi lasciando gli uomini a patire in ginocchio davanti all’altare di beddamatre santissima dell’astinenza?

La prostituzione è un mestiere come un altro, perché sono certa che chi parla di questo ergendosi al di sopra delle povere precarie non sa un cazzo di quel che vive una commessa che non può allontanarsi dalla postazione neanche per pisciare, di una collaboratrice domestica che fatica da mattina a sera, di una cameriera alla quale viene il sangue ai piedi per l’andirivieni in sala. Chi parla non sa niente di precarietà e di necessità di denaro e anche di tempo che puoi impiegare studiando, vivendo, programmando il futuro, perché nessun lavoro, tra quelli che ti rendono legalmente schiava, ti lascia il tempo di fare tutte queste cose. Una puttana invece si, giusto per chiamarla in un modo che vi piace tanto, perché qualcuna dice di poter vendere servizi sessuali e poi avere il tempo di studiare e frequentare le lezioni all’università. E a tutte queste donne noi non dobbiamo nulla? Riconoscimento? Rispetto per la loro soggettività? Diritti?

Peccato che la proposta romana finirà nel cesso, presumo, nonostante il successo di esperienze come quella di Mestre, giacché le pressioni sono talmente grandi da far retrocedere perfino l’iniziale consenso del sindaco. E quando le abolizioniste avranno ottenuto di tenere ancora nascosto il fenomeno cosa avranno ottenuto? Un’altra tacca nella loro cintura da missionarie prepotenti. Ecco cosa. Che santa meretrice ce la mandi buona.

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