Sono cresciuti nello stesso orfanotrofio di Pietra Neamt, nel nord-est della Romania. In questa città erano stati istruiti e allevati da un gruppo criminale (non ancora smantellato) per compiere ogni genere di rapina: da quella in strada a quella nelle boutique di lusso. Per questo si spostavano in tutta Europa, lasciando il segno a Parigi, Londra, Bruxelles, Firenze e Milano, prima di fare rientro a casa. Ed è proprio qui che la banda di 9 ragazzi tra i 20 e 25 anni – ora tutti in carcere – ha firmato due colpi entrati negli annali del crimine milanese sia per il valore del bottino, sia per la violenza utilizzata nell’esecuzione. “Due delle rapine più clamorose degli ultimi tempi” le definisce il sostituto procuratore Alberto Nobili.

Nel mirino del gruppo finì per due volte in tre mesi la storica gioielleria svizzera Franck Muller di via della Spiga, la strada principale del Quadrilatero della moda. Il primo colpo va in scena il 15 febbraio 2013: i banditi si ritrovano in un parco, raggiungono il negozio con l’autobus, entrano, spaccano le teche con mazze, spranghe e martelli, picchiano e immobilizzano clienti e dipendenti, arraffano orologi (48, per un valore di 642mila euro) e si coprono la fuga lanciando molotov in mezzo alla strada affollata di gente. Dura tutto 55 secondi. Il 21 maggio il copione si ripete. Stessa orologeria, stessa modalità, stessa ritirata a colpi di bottiglie incendiarie: quasi un segno di riconoscimento. Ci sono voluti due anni di indagini, portate avanti dalla squadra mobile (guidata da Alessandro Giuliano) e dai carabinieri del colonnello Biagio Storniolo, e coordinate dai pm Francesca Celle ed Enrico Pavone, per arrivare a tutti i componenti della gang e scrivere la parola fine su una vicenda che da episodio criminale si trasformò presto in polemica politica contro la giunta di Giuliano Pisapia, colpevole – secondo i commercianti – di aver trasformato uno degli angoli più ricchi della città in un “suk”.

Sì, perché a immagini del genere nemmeno Milano, teatro del colpo di via Osoppo (prima rapina del secolo) e delle scorribande di Renato Vallanzasca, era più abituata. Il 21 maggio 2013, alle 11 e 36, “il gruppo paramilitare capace di agire con ferocia e aggressività” – spiega Nobili – dà vita a “un’azione militare di sfondamento”. E lo fa nello stesso negozio preso di mira appena tre mesi prima. Un giovane distinto con in testa un Borsalino si presenta all’entrata di Franck Muller. Suona. L’addetto alla sicurezza apre. I due scambiano qualche battuta in inglese. Ma dietro il ragazzo si materializza un complice: passamontagna calato sul volto e spranga in pugno. In pochi secondi sei banditi sono dentro la gioielleria. Il body guard, Federico Marchiorello, 39 anni e un metro e 90 di altezza, viene immobilizzato e preso a calci e pugni per tutto il tempo dell’azione da un rapinatore: finirà in ospedale con le costole rotte e la milza distrutta. Gli altri puntano sulle teche. E’ tutto coordinato. I ruoli precisi. La durata calcolata sul filo dei secondi. Un ragazzo manda in frantumi dieci vetrine sulle undici presenti. Gli altri le svuotano. Orologi e gioielli finiscono in un sacco. Il direttore del negozio, Miki Banayan, scaglia una scala contro un bandito. Ma la gang riesce ad uscire dalla boutique. Il direttore non molla, corre dietro alla banda. Ma si vede gettare contro due bottiglie molotov e torna indietro. I banditi svaniscono nel nulla con un bottino di circa 800mila euro, stando alle stime del negoziante.

Carabinieri e polizia non hanno dubbi che ad agire sia stata la stessa gang di febbraio. Incrociano i dati. Scambiano informazioni. Setacciano le immagini raccolte dalle telecamere di sicurezza di tutto il Quadrilatero. Analizzano guanti e passamontagna trovati vicino alla gioielleria. Confrontano le impronte digitali e i profili di Dna isolati. Da qui si risale a tutti i membri, qualcuno dei quali, nel frattempo, si trova già in carcere in altri Paesi per altre rapine – almeno dieci – messe a segno in tutta Europa.

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