Tempo fa abbiamo qui stigmatizzato l’approccio discutibile de Le iene nel pezzo sul presunto business sui minori ma stavolta il compito è arduo, poiché ad occuparsi del tema dell’allontanamento dei minori dalle famiglie d’origine, delle comunità d’accoglienza e delle rette corrisposte è stato, di recente, un programma che gode di ben diversa credibilità ed è condotto da un giornalista che appartiene, giustamente direi, alla serie A dell’informazione. Parlo di Riccardo Iacona e del suo Presadiretta.

Ora, i miei genitori hanno settant’anni e, come molti di quella generazione, vivono nel ricordo di grandi battaglie d’idee e di epici autunni roventi. Hanno pure il loro Wall of fame, che aggiornano col tempo. Qui spiccano perciò, placcati in oro, nomi attuali, appartenenti a un certo modo d’informare. Santoro, per dire, o la Gabanelli, o lo stesso Iacona. Gente così, che in genere piace anche a me. Ma sentite che altro fanno, i miei genitori. Reggetevi: non solo pagano il Canone Rai con puntualità, ma lo fanno pure VOLENTIERI! Sì, perché per loro è giusto, per loro la Rai resta sinonimo di servizio pubblico e patrimonio della collettività, che deve farsene carico.

Detto ciò, io sono educatore di comunità e qualcosa ne capisco, in materia. Ma sono anche cittadino di una Nazione in cui, come ama dire Massimo Carlotto, il romanzo noir (che adoro!) ha colmato il vuoto lasciato dal giornalismo d’inchiesta e di denuncia, giusto per dire come siam messi. Tradotto: se vuoi capire come gira il mondo niente telegiornale, ma leggi un bel polar, come direbbero i francesi. Vabbè. Pure i miei sono cittadini di tale Nazione e quando guardano i programmi condotti dai loro eroi tendono a pensare che quanto viene denunciato non solo sia verosimile, ma vero. Perché è la serie A del giornalismo, perché sono le reti pubbliche e perché – in ultima analisi – in un Paese che va a ramengo, dove si pratica il saccheggio delle risorse comuni, dove a rispettare le regole sono rimasti i bizzarri e i patetici, perché mai non dovrebbero percepire come verosimile, cioè vera, la tesi che i minori che vengono allontanati dalle famiglie d’origine lo siano nella logica del tornaconto economico per strutture impastoiate, giudici compiacenti, funzionari e operatori in malafede? Perché i miei genitori, dopo quaranta minuti di teleservizi su storie a effetto (di cui non discuto la veridicità) dovrebbero considerare anche quei dieci secondi in cui Iacona dice che non è però il caso di far di tutta l’erba un fascio? In fondo è un loro punto di riferimento a mettere quei quaranta minuti contro i dieci secondi e lo fa dalle loro reti preferite, per cui pagano (volentieri!) il canone.

Però il loro figliolo fa l’educatore di comunità e quindi certe cose gliele può spiegare, può invitarli a circostanziare, può affrontare gli sguardi perplessi che sembrano chiedergli ma dicci un po’, che razza di mondo frequenti? Con che diavolo di gente lavori? Che gli fate a quelle creature e alle loro famiglie? Io a loro posso spiegarlo che può essere strumentale dar voce solo alle famiglie e ai loro legali e che i motivi per cui i minori vengono allontanati da casa non stanno esattamente nell’indigenza, quanto piuttosto nelle inadeguatezze relazionali, educative e accuditive degli adulti di riferimento, per quanto magari solo transitorie e quindi recuperabili.

Anche voi, se ne avete voglia, provate a fare un giro a questo indirizzo #5buoneragioni e magari potrete farvi un’idea più completa di cosa sta a monte e a valle di un provvedimento d’allontanamento di un minore. Quanto ai miei, con loro posso far leva sulla fiducia nei miei confronti, a loro posso dirlo (io sì che posso) che non si deve far di tutta l’erba un fascio, che certo, le situazioni presentate in tivù sono gravi (e quindi denunciabili, per diritto e per dovere) ma che potrei citarne molte in cui il provvedimento era necessario e conforme alle urgenze di tutela nei confronti del minore, e che ha implicato la corresponsione di una retta equa (solo Salvini può sostenere che le comunità percepiscono rette da 400 euro. Che fanno, nelle comunità che conosce lui, i compiti su quaderni pergamenati? Il bagnetto nella Perrier? Gli educatori rombano sulle Lamborghini?) A loro posso dirlo che il mio è un lavoro serio, utile e socialmente necessario, dato che di quei bambini io mi sono preso cura, le loro famiglie le ho conosciute, le loro storie mi appartengono. Non tutto scorre a regola d’arte, è chiaro. Ma lasciare intendere, sulla tivù pubblica, che questi provvedimenti sottendono logiche di puro business, beh, francamente no.

E comunque, chi ha motivo di denunciare continui a farlo, che il suo piacere sarà anche il nostro!

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