La pubblicazione dei nomi contenuti nella lista Falciani riapre la vecchia ferita dell’inerzia delle istituzioni che hanno ricevuto l’elenco sottratto dall’informatico italo-francese fin dal lontano 2009. Del resto è la stessa Europa che da una parte punta il dito su bilanci sovrani, come quello greco o italiano, massacrati anche dai buchi degli evasori, dall’altra quando non fa orecchie da mercante, spunta da sé le sue stesse armi. Come è accaduto pochi giorni fa a Bruxelles quando la conferenza dei presidenti del Parlamento europeo, con il favore dei tre principali gruppi (Partito popolare europeo, Socialdemocratici e Conservatori e riformisti europei) ha respinto la proposta di VerdiSinistra unitaria di creare una commissione d’inchiesta  con pieni poteri di investigazione sullo scandalo LuxLeaks. Quello che a fine 2014 ha portato alla luce gli accordi fiscali (ruling) sottoscritti dalle autorità del Lussemburgo con trecento multinazionali che hanno così ottenuto di pagare meno tasse eludendo il fisco a casa propria. La Commissione proposta avrebbe permesso agli eurodeputati di accedere a documenti e testimonianze di primo livello. Invece a occuparsi della vicenda che chiama direttamente in causa il presidente della Ue ed ex premier lussemburghese, Jean-Claude Juncker, una “commissione speciale sull’evasione” con attribuzioni e risorse limitate. Che non potrà, per esempio, chiedere agli Stati coinvolti di avere accesso alle 28mila pagine di documenti il cui contenuto è stato anch’esso svelato a novembre dal network giornalistico globale International consortium of investigative journalists
Parlamentari “sotto pressione” per evitare grattacapi a Juncker – Comprensibile, quindi, la reazione di Philippe Lamberts, copresidente dei Verdi Ue, secondo il quale la commissione speciale rappresenta “un second best” e “se ci fosse stata la volontà politica di adottare la commissione d’inchiesta non ci sarebbero stati problemi legali”. Il riferimento è alle perplessità espresse dal servizio legale del Parlamento, secondo cui la proposta era “concepita male” in quanto non specificava l’obiettivo dell’investigazione e non identificava chiaramente gli eventuali reati da esaminare”. Un parere che ha consentito al presidente Martin Schulz di non affrontare nemmeno la questione in seduta plenaria e affidare invece la decisione alla conferenza ristretta in cui siedono i numeri uno dei gruppi politici rappresentati a Bruxelles, tra cui Gianni Pittella per il Pd. Eppure, secondo una fonte citata dal sito di informazione indipendente EurActiv.it, la proposta era stata inizialmente sottoscritta anche da alcuni membri del Ppe, che poi però “hanno subito forti pressioni dal loro partito per ritirare le firme”. Che sono infatti scese dalle iniziali 194 (su 751 parlamentari) a 188, il numero minimo richiesto per poter chiedere formalmente la costituzione della commissione.
Varoufakis provoca i partner Ue sull’evasione: “No all’immunità su questi crimini” – Il Parlamento dunque si è di nuovo diviso sui LuxLeaks, come è successo a novembre quando, in plenaria a Strasburgo, è stata respinta la mozione di censura contro Juncker presentata dal Movimento 5 Stelle e sostenuta dal gruppo Efdd. Peraltro la decisione è arrivata pochi giorni dopo che il ministro greco Yanis Varoufakis, in conferenza stampa con l’omologo tedesco Wolfgang Schaeuble, aveva detto che la Grecia “ha un grave problema di evasione a causa del transfer pricing“, una tecnica di elusione incentrata sui pagamenti per lo scambio di beni e servizi tra società dello stesso gruppo con sedi in diversi Paesi. E aveva sollecitato i partner europei ad aiutare Atene a perseguire il reato: “Dobbiamo poter dire ai nostri connazionali che nella nostra Europa non c’è immunità con questi crimini”, aveva auspicato. Un punto su cui domenica ha insistito anche il neo premier Alexis Tsipras, annunciando la nascita di una task force incaricata proprio di “monitorare le liste dei grandi evasori”. In cima alle quali c’è proprio l’elenco degli evasori greci citati nella lista Falciani che ad Atene è stata ribattezzata lista Lagarde, dal nome dell’attuale numero uno del Fondo Monetario che, in veste di ministro francese delle Finanze, aveva girato l’elenco all’esecutivo ellenico nel 2010.
Commissione e Consiglio continuano il lavoro – Dal canto suo la Commissione, nonostante gli imbarazzi legati alla posizione di Juncker, continua a portare avanti le proprie inchieste sui trattamenti fiscali riservati da Lussemburgo e Irlanda a gruppi come Amazon, Apple, Fiat e Starbucks, potenzialmente in conflitto con la normativa europea sugli aiuti di Stato. E ha da poco aperto una nuova indagine sul Belgio. Il Consiglio dei ministri economici e finanziari dell’Eurozona, poi, a dicembre ha approvato in via definitiva lo scambio automatico di informazioni tra autorità fiscali e, per ridurre i buchi legislativi che aprono la strada all’evasione, ha dato il via libera alla revisione della direttiva comunitaria cosiddetta “madri-figlie”, quella che regola i rapporti tra società capogruppo e controllate. E anche a Londra qualcosa si muove: nei giorni scorsi una commissione parlamentare britannica ha criticato in un rapporto la società di consulenza PriceWaterhouseCoopers, che ha fatto da tramite tra il Granducato e le multinazionali, accusandola di promuovere l’elusione delle tasse “su scala industriale”. Secondo i deputati del Public accounts committee la società di revisione ha aiutato centinaia di suoi clienti a ridurre l’imposta sulle società creando sedi in Lussemburgo. Di conseguenza i deputati hanno chiesto al governo di David Cameron “di avere un ruolo più attivo nel regolamentare il settore fiscale”.
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