La Cassa Depositi e Prestiti è sempre più government agency. Agisce cioè come vero e proprio braccio finanziario dell’esecutivo a sostegno dell’economia. Proprio per questo, mentre si delinea il salvataggio dell’Ilva con la Cdp in prima linea, la Corte dei Conti chiede di “chiarire i regimi applicabili e le relative responsabilità” del gruppo presieduto da Franco Bassanini. Nella delibera che analizza i risultati 2013, i magistrati evidenziano infatti che il gruppo non è più solo collettore del risparmio postale e finanziatore degli enti locali. Ma è ormai “un soggetto che oggi spazia dal pubblico al privato, essendo allo stesso tempo soggetto alla vigilanza dello Stato e longa manus di molte delle sue operazioni finanziarie”. Questo punto, secondo la Corte, “non può che suscitare qualche interrogativo” sulla struttura della società che è controllata dal Tesoro (80%) e dalle fondazioni bancarie (18,4%). In pratica la Corte si domanda se Cdp, che “senza far parte del bilancio pubblico (e quindi libera dai vincoli degli accordi europei) può svolgere un ampio ventaglio di mission al servizio del pubblico interesse”, sia un’entità del mondo bancario o un organismo pubblico.

Il tema, che si aggiunge al dibattito sul conflitto d’interesse delle banche socie, non è solo squisitamente giuridico, ma ha un risvolto concreto per le tasche degli italiani: la Cassa Depositi e Prestiti custodisce infatti 242 miliardi di risparmi postali che investe in vario modo a patto di ricavarne “adeguate prospettive di redditività. Redditività che però nel 2013 ha segnato un deciso rallentamento. A fronte di un incremento del 4% della raccolta postale, la Cassa ha infatti registrato una flessione dell’utile netto del 17,66% a 2,34 miliardi. Il dato, come spiega la Corte, è figlio della flessione del margine di interesse (-27,9%) che è stato solo in parte compensato dall’incremento dei dividendi e utili delle partecipate (+21% a più di due miliardi).

Proprio le controllate inoltre hanno richiesto nel 2013 nuovi sforzi alla Cdp: “Il riassetto delle partecipazioni azionarie (…) – spiega la Corte – ha determinato la concentrazione nella Cassa di altre società pubbliche impegnate sul fronte del sostegno industriale”, ma ha anche determinato un “ incremento dei costi di struttura, comprendenti sia le spese per il personale che quelle amministrative”. Nel dettaglio le spese per il personale della Cdp, composto da 563 unità di cui poco meno della metà sono quadri direttivi, sono infatti lievitate nel 2013 del 15% a 62 milioni nel 2013, mentre quelle consolidate hanno segnato un boom del 343% a 1,17 milioni per via proprio dell’espansione del perimetro operativo.

Alla luce della delibera della Corte dei Conti e dell’evoluzione registrata dal bilancio 2013, non resta che chiedersi quali possano essere i futuri sviluppi dei conti della Cdp in virtù della “nuova mission industriale”. A guardare i numeri dello scorso anno, si direbbe che il cambiamento “strategico” della Cdp non sia indolore: nel 2014 gli utili netti si sono ridotti a 2,1 miliardi mentre il margine di interesse si è più che dimezzato attestandosi a 1,2 miliardi. Segno insomma che già oggi la capacità di produrre reddito della Cdp si è assottigliata. E non certo per via di cospicue cedole staccate ai risparmiatori postali.

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