Quando quattro signore australiane rischiarono la vita sulla Via dell’Amore, travolte da una frana, la notizia fece il giro del mondo. Invece, non ha mai superato la pagina interna dei giornali locali la notizia di un camionista che muore in autostrada travolto da una frana, come accaduto a Imperia (2000), a Rogliano Grimaldi (2009), a Ceprano (2011) o sul Brennero (2012). L’Italia è unita, almeno nella sua fragilità. Eppure sono due facce della stessa medaglia, l’Italia che frana e, franando, descrive la crisi di un paese e di un popolo.

La Via dell’Amore (Via de l’Amùu in lingua ligure) è una strada pedonale a picco sul mare, lunga poco più di un chilometro, che collega i Riomaggiore e Manarola nelle Cinque Terre. Costruita negli anni ’20, fa parte del Parco nazionale delle Cinque Terre e dell’area dichiarata dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. A Riomaggiore nel 2012 non c’era scappato il morto e la signora Judy Craig si era salvata per un pelo. Eppure, questo evento scatenò riflessioni assai più complesse e sfaccettate di quelle suscitate da eventi dall’impatto ben più grave. Come la mortale colata detritica di Giampillieri in Sicilia o le alluvioni di Genova, Senigallia, Marina di Campo. Molto più degli eventi normali come le continue intemperanze del Seveso che infastidiscono la Milano che arranca, tutta protesa verso Expo 2015. Perché la Via dell’Amore è una finestra sul mondo che dovrebbe sopravvivere a Expo 2015 e la frana ha scavato nel profondo del nostro rapporto con la bellezza della natura. Non soltanto sulla sicurezza personale o sull’economia, ma ci ha interrogato anche sulla capacità dell’uomo di interagire con questa bellezza.

Ho esperienza di soil slip, gli scivolamenti di terreno che uccidono sulle strade, ma non sono un grande esperto di frane in roccia e, vista l’età, neppure dell’amore, di cui conservo soprattutto la visione platonica. Credo quindi a quanto molti, esperti e non, hanno scritto, che la caduta dei massi assomiglia al crollo di un camino o alla tegola che si stacca dal tetto per un colpo di vento. So anche che c’è una probabilità piuttosto piccola che quella tegola, spostata dal fortunale, mi colpisca mentre passeggio sul marciapiede. Lo stretto legame tra frane, anche in roccia, e acqua non va però sottovalutato, come i duemila e più morti della tragedia del Vajont hanno insegnato al mondo intero: le Cinque Terre sono state devastate dai flash floods del 2011 e quell’evento non ha certo migliorato la stabilità di versanti già precari.

Prevedere e localizzare in tempo reale i flash flood si è dimostrato una sfida difficile, quasi impossibile. In casi molto localizzati come quello della Via dell’Amore si può fare forse di più, rispetto ai flash floods. Un collega giapponese mi ha mostrato di recente le sue ricerche sui sistemi di segnalazione luminosa di emergenza per frane, gallerie e altre instabilità, naturali e non. Sono tecnologie assai utili e, probabilmente, efficaci nel mitigare le conseguenze di eventi di questo tipo sui turisti come sugli operai. Allo stesso modo, possiamo usare una molteplicità di accorgimenti di difesa locale delle nostre case e delle nostre attività per fronteggiare la sfida lenire le ferite delle alluvioni. Ma la miglior difesa è l’uso parsimonioso del territorio, il risparmio di suolo. In questo ambito, la Regione Liguria adottò anni fa un Piano di Tutela dell’Ambiente Marino e Costiero assai avanzato, che salvaguarda l’ecosistema e soprattutto le falesie secondo moderni e condivisi criteri di sostenibilità ambientale.

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“Villa Malaparte 1”. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons – 

L’aspirazione dell’uomo a godere della natura è antica e consolidata. Le falesie sono una meraviglia della natura, anche se sulla falesia troviamo capolavori dell’uomo, come la Casa Malaparte a Capri e la Walker Residence di Carmel e progetti come la Morris House che Frank Lloyd Wright, uno dei più grandi architetti del secolo scorso, voleva realizzare nella baia di San Francisco. Ma basta circumnavigare l’Italia – e non solo l’Italia meridionale – per constatare terrificanti abusi e orrori indimenticabili. La falesia va difesa e, laddove possibile, consolidata con opere di ingegneria naturalistica. Il recupero delle pratiche agricole è uno dei rimedi più efficaci, ma qui entra in gioco una revisione della nostra economia e della nostra organizzazione sociale. Dobbiamo anche avere coscienza che alcune bellezze della natura non sono eterne, poiché partecipi di una natura che si evolve e che si firma con la sua instabilità.

Come sta oggi la Via dell’Amore, dopo quasi tre anni dalla frana? Sballottata tra la Procura, la Corte dei Conti, l’Ente Parco, il Comune e la Regione Liguria che, in vista del voto elettorale, gradirebbe inaugurare in tempo la riapertura di almeno un pezzettino di percorso. La via dell’amore è come la bella di Torriglia: tutti la vogliono e nessuno la piglia sul serio. Con un progetto organico e sostenibile. Per i foresti, Torriglia è un ridente comune montano della Liguria che merita una visita.

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