Una bandiera rossa sventola, lacera e malinconica, sulla ciminiera. La neve ingentilisce lo squallore spettrale di questo angolo di Berlino Est, tra pareti altissime di nudi mattoni e finestre bianco sporco allineate disciplinatamente tra le strade intitolate ai miti del socialismo: Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Karl Marx. Per paradosso felice è qui, in Schonhauser Allee, che sorge uno dei centri culturali più vivi ed effervescenti della città.

È il Kunsthalle, “luogo dell’arte”, un immenso container verde marcio a tre piani, con il pavimento stradale che lo attraversa dall’ingresso fino al grande schermo che sovrasta il passaggio al cortile interno, un vasto recinto brullo in cui due murales colorati sembrano una benedizione pennellata dal cielo. In questo luogo che sperimenta arte ogni sera e notte c’è sulla destra un bar. E nel bar risuona un accento marchigiano. Non cantilenato. Scoppiettante. È Marta, una ragazza italiana di vent’anni, che questo locale l’ha praticamente sposato, quasi trovandovi la ragione della sua scelta di vita. I capelli lunghi neri, un’energia vulcanica, Marta Tirabassi è approdata qui in ottobre, quasi un anno dopo essere arrivata a Berlino.

“Sono di Castel di Lama, della provincia di Ascoli Piceno, dove ho fatto il liceo linguistico. Sono venuta qui perché Ascoli mi andava stretta, perché mi sentivo sbagliata per quella città. I miei? Mi han lasciato andare. Mio padre ancora adesso piange, ma mi ha detto ‘parti, qui non sei felice’. E pochi mesi dopo il diploma sono partita. L’ultima prova che non avevo molto da dire a quell’ambiente l’ho avuta d’altronde proprio alla maturità. Portai una tesina sui Pink Floyd. Ogni canzone era collegata a una materia. Time a Seneca, per esempio. Ma nessuno fu incuriosito da quel progetto; in cui sostenevo, attraverso The Dark Side of the Moon, che non esiste la faccia scura della luna. Che la nostra faccia nascosta è la più viva, la più anticonformista, e che bisogna valorizzarla senza paura”.

E quale altra città poteva scegliere una ragazza con quelle idee in testa? Marta sa l’inglese, lo spagnolo (“fluentemente, pensi che sono andata a seguire gli indignados in Spagna”), e ora anche il tedesco. A Berlino ha trovato quel che solo qui forse si trova. Un appartamento in quattro, 150 euro al mese a testa. Dentro nemmeno una sedia. “Sa come l’abbiamo arredato? Senza spendere un euro. C’è un sito, Free your staff Berlin, in cui si comunicano i propri bisogni: ricevere o liberarsi di mobili. Ci sono arrivate duecento proposte. Incredibile, no?”. L’immenso container simboleggia i desideri che Marta aveva nello zaino.

“Funziona così”, e gli occhi mandano bagliori di entusiasmo, “c’è un network che va dalla Corea al Canada, si chiama Platoon. Ci si scambiano continuamente idee, progetti culturali. Il container sta in quel network. E ogni sera ospita mostre fotografiche, di video, rassegne di film di nuovi registi, concerti, serate a tema da tutto il mondo. E ogni giorno l’allestimento viene smontato e rifatto. Mai uguale a se stesso. La prima volta che l’ho visto ne sono rimasta affascinata. Così quando un’amica mi ha detto che c’era un posto di cameriera, dalle cinque del pomeriggio fino a notte, io mi ci sono fiondata. Perché ho detto ‘l’importante è entrarci, poi ci penso io’. Sa, io ho proprio la passione per l’organizzazione degli eventi culturali. In Ascoli (dice proprio così, da buona ascolana; ndr) io ne organizzavo. Una volta feci un festival per le band emergenti della città. Avevo fondato un’associazione, si chiamava “La Fenice”, per dire che bisognava risorgere dalle ceneri di Ascoli. Pensi che a sedici anni volevo organizzare con un mio amico una mini-Woodstok. Raccogliemmo anche i fondi per farla in un parco. L’assessore alla cultura invece di essere contento ci disse che eravamo i soliti comunisti che si facevano le canne e che gli avremmo distrutto il parco. Ci chiese una cauzione irraggiungibile. Per questo sento che qui riuscirò a fare quel che sogno. E già partecipo alle discussioni sui progetti, già mi ascoltano”.

Quindi rimarrà sempre a Berlino, Marta? “Come si fa a sapere… Voglio raggiungere il livello C1.2 nella conoscenza del tedesco. È quello che serve a iscriversi all’università. Voglio fare Scienze politiche e poi il Master in organizzazione degli eventi culturali. Qui le idee si contaminano, si parlano più lingue nello stesso giorno. Mi piace l’innovazione, mi piace vivere nel cambiamento invece di averne paura, mi piace potere stare in un bar per un’ora senza che nessuno ti inviti ad andartene. Nessuno ti giudica. Imparerò molto. E vorrei portare un giorno tutto quello che ho imparato al servizio del mio paese, dove ci sono troppe menti ristrette. È la mia utopia”.

Così parlò una ventenne italiana che nella Berlino del vecchio est comunista ha trovato il cuore dell’Europa del futuro. Volete sapere se con Marta ho parlato anche di mafia? Sì. E ho scoperto che a scuola ha lavorato con Libera e vuole andare prima o poi a fare un campo nei beni confiscati. Già, i mafiosi dilagheranno pure ma ormai gli antimafiosi pullulano. E anche questa è una bella notizia.

il Fatto Quotidiano, 1 febbraio 2015

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