Il video presentato a Davos dal nostro Ministero per lo Sviluppo Economico ha raccolto diversi giudizi positivi, soprattutto se confrontato con altre recenti e più discutibili iniziative promozionali, come ad esempio il portale Verybello.it. A ben guardare, nonostante il video assolva bene al compito di pubblicizzare il prodotto Italia (che poi detta pubblicità possa avere ricadute concrete è tutt’altro discorso), ripropone un errore che ricorre abbastanza spesso nelle discussioni sulle condizioni del nostro Paese: quello di limitarsi ad un approccio di tipo statico, trascurando le dinamiche risultanti dall’interazione con il resto del mondo e, soprattutto, gli esiti derivanti dalle tendenze al momento osservabili.

Partiamo dall’esempio più classico, un’impresa italiana operante in un settore tradizionale, che riesce a competere sui mercati internazionali perché i suoi concorrenti, soprattutto nei paesi emergenti, pur riuscendo a praticare prezzi più bassi, non sono in grado di eguagliare il livello di qualità dei suoi prodotti. Ad oggi, questa impresa ha un chiaro vantaggio competitivo, che le consente di mantenere il proprio posizionamento, ma quali sono le prospettive per il futuro?

Per conservare la propria posizione dovrebbe investire in ricerca, design, marketing e tutto quanto le consenta di mantenere o aumentare la qualità dei propri prodotti… confidando che nel frattempo, chi produce a basso costo non riesca a raggiungere gli stessi standard. Un’alternativa meno rischiosa, laddove la pressione sui prezzi si facesse sentire, potrebbe essere delocalizzare la produzione per ridurre i costi mantenendo un rigido controllo della qualità e la componente di progettazione nella sede centrale.

Questo per non dire dalla tentazione, compatibilmente con le peculiarità della singola impresa, di trasferirsi completamente in un altro paese, ricordiamo che l’Italia:
ha perso 4 posizioni nell’indice Ease of doing business della Banca mondiale nel corso dell’ultimo anno
è prima in Europa nell’indice di corruzione percepita
si classifica in modo poco decoroso nel indice Global Competitiveness del World Economic Forum (in particolare con riferimento a istituzioni e mercato del lavoro, va meglio invece sulle componenti infrastrutture, sanità e sistema educativo)
– ha una pressione fiscale tra le più elevate al mondo, in particolare con riferimento al Total Tax Rate (% of commercial profits).

Cosa faranno le imprese che sono dietro ai primati di cui si vanta il governo? Rimarranno ad aspettare che i propri concorrenti riescano ad erodere il vantaggio competitivo di cui godono oggi? Investiranno risorse proprie, per mantere questo vantaggio, pur rimanendo in un paese che sembra far di tutto per non farle sentire bene accette? Oppure sceglieranno di trasferirsi in aree più accoglienti, meno corrotte e dove in generale “la vita è più semplice”?

Lo spot del governo a Davos, per una volta è ben fatto, ben scritto e assolve egregiamente alla propria funzione. Quello che merita una riflessione critica è che l’immagine proposta della situazione attuale è come il dito che indica la luna: ci mostra dove si trova l’economia italiana oggi (con qualche disinvoltura di marketing spostandosi da indicatori relativi a dati in valore assoluto), mentre quello che realmente dovremmo chiederci è in che direzione stia andando e dove si troverà domani.

La risposta potrebbe non essere piacevole.

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