(Breve avvertenza. Questa cronachetta kafkiana è stata scritta quando tutto si era ormai concluso. Solo per questioni di lunghezza è stata divisa in puntate. Quindi, non è che io non segua i consigli dei preparatissimi lettori, infinitamente più preparati di me, è che la mia peripezia in realtà aveva già avuto fine. Come? Ecco qui)

Sullo stradone a due passi da casa ci sono due negozi cinesi quasi attaccati; il classico bugigattolo e uno store più ambizioso. Punto nel bugigattolo, mi pare più adatto, come nei racconti delle fate; il commesso è un ragazzo che quasi non parla l’italiano; si fa dare il caricatore, lo soppesa per una frazione di secondi poi scuote la testa, niente da fare, non può aiutarmi. Ripiego sullo store più ambizioso; qui ci sono clienti, l‘attesa è più lunga ma anche qui il responso è negativo e senza appello. Anche la Cina mi ha tradito, la giornata si è conclusa con un nulla di fatto. Tiro fuori dalla tasca l’appunto con tanto di piantina che il primo commesso a cui mi ero rivolto aveva vergato di suo pugno. Domattina sveglia presto per prendere il numeretto e mettermi in coda al Centro Samsung dall’altra parte di Milano. Attraversando lo stradone, vado quasi a sbattere su un altro negozio di assistenza computer. Piccolo, dall’aria modesta, italianissimo; sulla carta non vale nemmeno la pena di entrare, ci entro solo per rimandare un verdetto già scritto. A sorpresa il commesso mi ascolta attentamente, mi fa un paio di domande, poi prende un caricatore dallo scaffale vicino, senza nemmeno doversi muovere. Lo toglie dalla confezione dove ci sono anche una decina di spinotti diversi. “Tutto dipende dallo spinotto”, spiega mentre li confronta con il mio. Sì, uno compatibile, c’è, però bisogna essere sicuri che il caricatore carichi. Posso portargli il mio computer per fare la prova? Mi precipito a casa e in capo a venti minuti sono di nuovo nel negozio, un attimo che scenda la saracinesca. Lo spinotto è compatibile, il caricatore si accende di una lucina blu, il computer si rianima. Tutto funziona perfettamente, se fossi sceso direttamente nel negozio più vicino a casa mi sarei risparmiato una giornata di passione. Adesso l’anonimo caricatore è qui sul tavolo, accanto a me, e ogni tanto mi capita di accarezzarlo.

Qual è dunque la morale di questa favoletta a lieto fine, come si conviene alle favolette natalizie? Che basta un banale intoppo tecnologico per scoprirsi superati dai tempi oltre che imbranati. Probabile. Ma nessuno mi toglie dalla testa che tutti, chi più chi meno, chi meglio chi peggio, siamo ormai sequestrati e diventati ostaggio di una tecnologia che mi dà meno fiducia dell’Isis. I nastri registrati, i negozi online, i numeri seriali, i link da cliccare, le password da digitare, i codici da confermare, i modelli da riempire, le registrazioni da effettuare, le mail da spedire…Nulla mi toglie dalla testa che Franz Kafka, il più chiaroveggente tra i grandi scrittori del Novecento, ha presentito in anticipo tutto questo, e lo ha anche narrato meravigliosamente nel suo capolavoro incompiuto, Il Castello. Altro che regno della libertà; internet è l’entità onnipotente e senza volto che ci domina, di fronte alla quale tutti strisciamo nella vana speranza di essere ricevuti. Il padrone assoluto da cui speriamo di essere premiati e che facciamo a gara per onorare, come servi ciechi, anche quando ci illudiamo del contrario. Lo sospettavo da prima che il mio caricatore si rompesse, adesso ne sono sicuro.

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