La scorsa settimana il Bundessicherheitsrats, il Consiglio di sicurezza federale tedesco composto dalla cancelliera Angela Merkel, dal suo vice Sigmar Gabriel e da altri sette ministri, ha deciso di sospendere ogni fornitura militare verso l’Arabia Saudita perché “la situazione nella regione è troppo instabile”. La notizia, annunciata dal quotidiano Bild e rilanciata da tutta la stampa tedesca, non è stata smentita dal governo di Berlino.

Molti politici tedeschi, soprattutto i leader della Sinistra e dei Verdi chiedevano da mesi di bloccare l’esportazione di armi verso l’Arabia Saudita, ritenuta responsabile – insieme al Qatar – della destabilizzazione della regione per via del suo sostegno ai jihadisti dell’Isis. Indiziato numero uno è l’ex capo dei servizi segreti di Riyad, oggi capo del Consiglio di sicurezza nazionale saudita: il principe Bandar bin Sultan ex ambasciatore a Washington e grande amico della famiglia Bush. Lui, insieme a quella potente lobby saudita che – come denunciava segretamente Hillary Clinton anni fa – rappresenta la principale fonte di finanziamento del terrorismo globale, Al Qaeda compresa, e che avrebbe giocato un ruolo anche negli attentai dell’11 settembre.

A queste preoccupazioni si sono aggiunte recentemente – dopo la fustigazione per apostasia del blogger Raif Badawi – quelle dei partiti tedeschi di maggioranza, Spd e Cdu, riguardo alle sempre più gravi violazioni dei diritti umani commesse nel paese arabo. L’autoritaria monarchia saudita, infatti, ha in comune con i jihadisti dell’Isis l’ideologia integralista salafita di matrice wahhabita – la più rigida interpretazione dell’Islam sunnita, originata in Arabia e abbracciata dalla dinastia Saud fin dalla sua fondazione nel 1744 – e quindi la medesima inflessibile applicazione della Sharìa, la legge islamica, e delle relative pene: dalla fustigazione alla lapidazione, dall’amputazione degli arti alla decapitazione. La decapitazione – come denunciato da Amnesty International – è il metodo prevalente di esecuzione capitale in questo paese, dove si registrano decine di esecuzioni ogni anno, 2mila negli ultimi trent’anni. Spesso la decapitazione del condannato avviene in pubblico e il corpo senza testa viene lasciato esposto in pazza come monito.

L’Arabia Saudita è uno dei principali clienti dell’industria militare tedesca: le esportazioni di armi “made in Germany” autorizzate nel 2013 ammontavano a 360 milioni di euro. Per per l’Italia Riyad rappresenta addirittura il principale cliente della nostra industria militare, con quasi 300 milioni di euro di esportazioni autorizzate nel 2013, corrispondente al 14% del totale. La decisione tedesca, se confermata, dovrebbe indurre anche il nostro governo a riconsiderare l’opportunità di vendere armi a un paese come l’Arabia Saudita che, oltre ai gravi sospetti di cui sopra, viola la legislazione italiana (legge 185/90) che vieta di esportare armamenti verso regimi che non rispettano i diritti umani.

Un ripensamento anche in Italia delle esportazioni militari verso regimi come l’Arabia Saudita richiederebbe, però, secondo le associazioni che il Parlamento tornasse a svolgere la sua funzione di controllo sull’export bellico nazionale, funzione cui deputati e sanatori hanno abdicato da due legislature. Come da tempo denuncia la Rete Italiana Disarmo “è dal 2008 che le commissioni parlamentari non prendono in esame le relazioni annuali del governo su questa materia, che ha inevitabili implicazioni sulla politica estera e di difesa del nostro paese”. La prossima relazione annuale è attesa entro fine marzo.

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