Sembra proprio di rievocare il pensoso tragitto di Lorenzo Tramaglino verso la residenza dell’avvocato Azzeccagarbugli. Lui camminava svelto e meditabondo, incurante dei due rumorosi polli appesi alla cintola e destinati entrambi a finire in pentola, tuttavia i polli non rinunciavano a beccarsi selvaggiamente tra loro per conquistare la vacua supremazia.

Ma non è per rievocare Alessandro Manzoni che una scrittrice “free lance” ha inviato il suo “amorevole” articoletto alla redazione di una arcidiocesi per raccontare il fastidio nel quale si è trovata involontaria protagonista.

Lei racconta, in tono quasi lirico (che qui abbrevio un poco): “Vorrei dire alla ragazza che oggi in strada mi ha proposto sconti commerciali, e alla quale ho risposto un cordiale ‘no grazie’, ma che al mio rifiuto mi ha risposto malamente, che nonostante questo le ho sorriso lo stesso. Vorrei dire all’altra ragazza che mi ha chiamato al telefono di casa offrendomi una promozione commerciale, alla quale ho risposto benevolmente “no”, ma che mi ha ribattuto seccata: ‘ma di che cosa mi ringrazia se non mi ha neppure lasciato parlare?

Ecco, vorrei dire a questi ragazzi che il mio era solo un modo per far capire che non vorrei essere disturbata e che loro non hanno il diritto di parlarmi né io il dovere di ascoltarli. Vorrei dire anche, a tutti questi giovani, che mi spiace vederli impegnati in lavori così sgradevoli, mal pagati, instabili, e che, si, è un po’ anche colpa mia, di quelli della mia generazione intendo, perché noi non siamo stati capaci di creare le condizioni perché non lavorassero in questo modo degradante. Ma vorrei dire anche che un po’, invece, è pure colpa loro, perché è vero: trenta, quarant’anni fa un giovane che studiava di solito trovava un lavoro adeguato alle sue capacità e alle sue competenze, pagato il giusto, stabile, ma è pur vero che comunque, chi  è davvero in gamba, molto velocemente riesce a smettere di distribuire volantini fermando i passanti o infastidire la gente telefonando a casa loro, e a trovare un’occupazione decente. Vorrei dire che tutti ci sentiamo molto in gamba, ma non tutti lo siamo, e vorrei dire che dobbiamo farcene una ragione e accogliere con umiltà i nostri limiti, anche quello di non essere speciali e formidabili, accettando di essere come tanti altri, destinati a fare lavori che non amiamo, magari per tutta la vita.

Che dire? Ha disegnato un ipotesi perfettamente lecita. Nessuno può contestare il suo diritto alla privacy e la sua probabile perspicacia nel perseguire ed arrivare a ottenere un lavoro e una posizione che oggi la soddisfano pienamente, ma questo non la autorizza a giudicare tutti quelli che oggi non ci riescono come dei lavativi o degli incapaci.

In questo atteggiamento, sia pure a modo suo “benevolo”, ma palesemente egocentrico, emerge tutta la presunzione di superiorità, e anche un po’ di vanagloria, di quelli che, avendo raggiunto un traguardo più o meno alto nel loro percorso sociale, lo rivendicano come merito esclusivo vantando di essersi “fatti da soli”.

Una volta li chiamavano “benpensanti”, e si scorge in questo scontro di generazioni tutto il dramma dei giovani d’oggi, costretti a lavori umilianti e malpagati, senza percorsi solidi per il loro futuro e con l’aggravante di trovare persone come questa, amorevolmente socievoli ma…pronte a bollare di incapacità o di inadeguatezza quelli che non ce la fanno. Come se fosse possibile a tutti “farcela”! E’ molto frequente oggi vedere i benestanti bollare questi soggetti, e persino lo Stato stesso che in qualche modo li assiste, come dei parassiti che vivono (o consentono di vivere) sulle spalle e sui sacrifici di quelli che lavorano e che si danno da fare. Ho sentito diverse bravissime persone ragionare allo stesso modo. Loro fanno un equazione molo semplice prendendo ad esempio se stessi: “se non hai soldi, o non hai il lavoro, o le cose ti vanno storte, la colpa e’ tua perché non ti dai abbastanza da fare. Io ero nella tua stessa situazione, mi sono dato da fare e adesso sto bene”.

Questa opinione è diffusissima, benché sia fondata su falsa verità, perché specialmente durante crisi durissime come questa solo pochi riescono a risolvere il loro problema semplicemente “dandosi da fare”, e del resto, proprio il fatto di essere sempre più spesso importunati da qualcuno, è la prova che si danno da fare, ma senza successo. Come si può anche solo pensare che dei giovani, o meno giovani, umiliati e annullati nella loro ricerca di una stabile posizione da una crisi storica, siano tutti fannulloni e lavativi? Dove sta scritto che basta impegnarsi con tutte le proprie forze per riuscire in una impresa? Questo è solo il trionfo del qualunquismo. Se fosse così semplice, tutti quelli che stanno per annegare riuscirebbero a salvarsi, ma non è così, purtroppo è vero il contrario: senza l’aiuto di qualcuno, annegano. Tra l’altro, su tutti quelli che cadono in questa situazione di rifiuto, dopo un po’ subentra la sfiducia, che in breve porta alla resa, alla rinuncia e in qualche caso persino al suicidio.

Quelli che pensano che sia sempre possibile risalire la china semplicemente “dandosi da fare” sono in grave errore. Benché l’invito a darsi da fare sia sempre da incoraggiare, pensare che una ferrea volontà da sola possa risolvere tutte le situazioni è tragicamente sbagliato. Anche se tutti si dessero da fare allo stesso modo e con la stessa intensità non sarebbe comunque possibile per tutti raggiungere l’obbiettivo agognato. E questo è maggiormente vero in una società senza welfare, ovvero non socialmente organizzata per premiare questi sforzi.

Ma il welfare nella moderna società a indirizzo capitalista liberale è trattato e combattuto dai “benpensanti” come fonte del parassitismo sociale, e sta per sparire.

Il risultato sarà di ritrovarci intorno sempre più vanagloriosi scrittori e scrittrici benevolmente indignati contro la massa crescente degli “scocciatori” che, nel tentativo di riscattarsi dalla loro umiliante situazione, e nella bruciante disperazione di non riuscirci mai, reagiranno male ai dinieghi “amorevoli” dei benpensanti, nemmeno sfiorati dall’idea che senza la fortuna (o l’aiuto del Padreterno), sarebbero anche loro là a scocciare gli altri con offerte o richieste che vengono sempre “benevolmente” ma inesorabilmente rifiutate.

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